Da cicciottello a cuzzuluni, cosa non dire per non essere licenziati

Se sei cicciottello non te lo debbono dire. 
Se sei obeso non debbono permettersi di ingrossarsi la bocca e sputare sentenze.
Se hai la panza, possono solo dire che “hai una bella tartaruga”.    
Se sei ignorante rimarcarlo sarebbe un atto di insensibilità.
Se sei brutto fartelo sapere sarebbe mostruoso.
Se sei cretino dirtelo non lo capiresti neanche.
Se sei psicopatico non c’è alcun problema: nessuno avrebbe il coraggio di avvicinarsi per dirtelo.
Se sei lagnuso (perditempo) dirtelo non ti smuoverebbe.
Se sei cuzzuluni (calvo) ti si rizzerebbero i capelli.
Se sei basso di statura dall’incazzatura ti farebbero allungare con la conseguenza di guardarli dall’alto verso il basso.
Se sei disabile sarebbe scorretto chiamarti anche diversamente abile: diverso da chi?  
Se sei un perdente dirtelo ti farebbe vincere?
Se sei un fallito rimarcarlo di farebbe sprofondare nell’abisso.
Se sei sfortunato dirtelo potrebbe portare più iella per tutti.
Se sei malato ne potresti morire.
Se sei bello dirtelo ti rendere più luminoso.
Se sei slanciato dirtelo ti farà diventare una pertica e non passeresti sotto le porte (come i cornuti che non debbono sapere di avere le corna).
Se sei muscoloso dirtelo ti gonfierebbe ancora di più (ma il doping verbale è consentito?).
Se sei elegante dirtelo sarebbe segno di raffinatezza.
Se sei intelligente capiresti già al volo l’intenzione nascosta del complimento.
Se sei sperto (furbo) apprezzeresti la spirtizza.
Se sei colto avidenziarlo farà cultura.
Se sei fortunato te lo possono dire anche a gesti.
Se sei vivo te lo possono dire perché rende più vivi.  
Se sei deceduto non te lo possono più dire e dirtelo non ti renderebbe più morto .
Dire o non dire? Ed eventualmente dirlo con quali parole? In che momento? In quale contesto?
Questo è il problema!

Le parole prive di un contenuto condiviso diventano alla fine dei gusci vuoti. Sono inoffensive, te le fai scivolare addosso e ci ridi pure sopra. Al contrario, se le carichiamo di contenuti da ambo le parti (parolaio e bersaglio), diventano armi d’offesa. 
Raimondo Moncada

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