Si dovrebbe fare un referendum sul referendum, sulla comprensione del quesito referendario. Può anche succedere che il contenuto non si capisca o che la gente non lo voglia capire o non si interessi. Questo potrebbe portare all’astensione, a votare solo sul momento a occhi chiusi sperando di far bene. Oppure a votare in massa seguendo l’indicazione della propria formazione politica o del proprio leader senza sapere per cosa si stia votando. Oppure a seguire semplicemente la corrente: mi esprimo come si esprimono gli altri. In questi ultimi casi è fondamentale la comunicazione, a sostegno delle ragioni del sì o delle ragioni del no, con argomentazioni serie, chiare, efficaci, ficcanti. Lo scopo è convincere l’opinione pubblica così come in una veloce pubblicità.
Non è la stessa cosa, lo so, ma ci andiamo vicini.
Se mi convinci che una caramella è buona e non fa male allo stomaco e ai denti, allora compro la caramella anche cara e amara. Se, al contrario, mi convinci che la stessa caramella fa schifo e fa male, allora non la compro per paura di ritrovarmi seduto in bagno per sfogare la diarrea o sulla sedia del dentista per farmi tirare i denti tutti neri, cariati e doloranti.
Non basta, però, solo la ficcante comunicazione. È essenziale saperla esporre attraverso tutti i mezzi possibili, da internet alla televisione. Assistiamo, così, al bombardamento di messaggi per il no o per il sì: sui social, sui muri delle città, durante la visione di un film al cinema, mentre di notte stiamo sognando. E assistiamo a talk show televisivi dove quello che conta è bucare lo schermo (senza che nessuno te lo ripaghi) e vincere l’epica battaglia con l’avversario di turno. In questo caso, i contenuti possono anche essere relativi. La cosa più importante è solo abbattere il competitor sul piano della telegenia, della bellezza espositiva, della presentabilità, della credibilità, della sicurezza, della dialettica, dell’abbigliamento, del trucco, del taglio di capelli, dello sguardo, della gestualità. Chi è più bravo a parlare in tv e ad apparire affascinante e convincente riuscirà anche a spostare voti su voti, palate di croci sul no o sul sì, anche senza contenuti. È il metaforico pugno nell’occhio che fa effetto, mettere ko il contendente anche se il contendente ha ragioni da vendere ma, purtroppo per lui e per i suoi sostenitori, ha la sfortuna di non sapere “vendere” la propria “mercanzia” e rimane steso sul tappetto in attesa del gong finale del conduttore.
E sui social, il popolo tifa per l’uno o per l’altro a colpi di post, di commenti e di commenti su commenti: “Non c’è stata partita!”, “Lo ha annientato!”, “Il maestro è stato troppo forte!”, “Non gli ha dato spazio!”, “Si è fatto frantumare!”, “Con la rivincita sarà tutta un’altra storia e già se la starà facendo addosso!”.
In questi giorni, sia in America che in Italia, ci sono stati dei duelli in tv molto seguiti. In America per l’elezione del nuovo presidente. In Italia in preparazione del nuovo referendum sulla riforma costituzionale. E tutti a chiedere dopo la sigla finale della trasmissione: “Chi ha vinto?”
Ma chi ha vinto cosa?
C’è gente che non capisce, che non sta capendo, che ancora non ha letto o ascoltato. Vorrei, allora, che si indicesse un referendum per conoscere con esattezza il grado di conoscenza e il livello di consapevolezza del cittadino sul contenuto dell’italico referendum: Cosa ne sa? Ha letto il testo della riforma? Sa a cosa si va incontro se vince il sì o se si afferma il no? Gli interessa?
Non è un quesito da poco. Come non è un quesito da poco quello a cui siamo chiamati a rispondere il 4 dicembre chiudendoci soli in una cabina un metro per un metro, con una matita e una scheda in mano.
Andare a votare è un impegno non da poco. Pensiamoci. Pensiamo a quel giorno… Sarà domenica. Ci faremo la doccia, ci vestiremo con l’abito buono, le donne si truccheranno pure, usciremo di casa, prenderemo la macchina, percorreremo non so quanti chilometri per giungere al seggio, salutare gli amici e conoscenti. Attenderemo pazienti il nostro turno dietro una fila di altri elettori pensando già al da farsi e poi entreremo in cabina per tracciare una croce su un solo monosillabo: o Sì o No. La casella “Forse” non l’hanno contemplata.
È una fatica, che merita la fatica. Ogni voto sarà importante, perché si sommerà ad altri Sì o ad altri No decidendo il futuro del proprio Stato, del nostro Stato. Chissà come avrebbe votato mio padre, Gildo Moncada, che combatté sui monti dell’Umbria nel secondo conflitto mondiale tra i partigiani ritornando a casa mutilato, a sedici anni, durante la seconda guerra mondiale da cui scaturì la vigente Costituzione?
È un quesito che mi pongo e che mi responsabilizza ancor di più, che mi impegna a capire fino in fondo tutte le ragioni in campo e a mettere una croce, quella per me giusta, con coscienza.
Buon voto a tutti.
Raimondo Moncada
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