E quello che ho letto negli ultimi anni? Tutti a riempirsi la bocca esperti, meno esperti e spirtuna. Sintetizzo: “La Sicilia deve stare tranquilla, non verrà mai colpita, perché ha la mafia che le controlla il territorio”.
Analisti sopraffini e social opinionisti sottovalutati dalla crescente paura? O i soliti pregiudizi e luoghi comuni, duri a morire, sull’isola e sul suo popolo?
Digitando, ad esempio, su Google le parole “Sicilia, terrorismo, mafia”, viene tra l’altro fuori l’intervista rilasciata nel novembre del 2015 a Panorama da un agente dei servizi segreti. Riporto un passaggio: “Non possiamo dire quali saranno le aree nel mirino degli attentatori, ma invece possiamo dire quasi con certezza matematica l’area che invece non sarà interessata da eventuali attentati strutturati come quelli avvenuti a Parigi: il Sud Italia”. Questo perché, si spiega, gli estremisti islamici possono solo attraversare regioni come la Sicilia, “ma non è loro permesso di fermarsi”.
Si dice da sempre e ciecamente e comodamente: la mafia è solo in Sicilia e i mafiosi sono solo i siciliani. Come se la delinquenza avesse un’origine anagrafica e territoriale: un marchio d’infamia con cui nasci e grazie al quale ti squadrano e ti giudicano al volo quando oltrepassi lo Stretto di Messina o raggiungi paesi oltre confine.
Come siciliano, nella natia sfortuna, avrei la fortuna di essere immunizzato contro il virus del nuovo male (“Tu siciliano? Sei salvo!”). Nell’immaginario collettivo dei pregiudizi e ora nelle analisi e nelle strategie geopolitiche, la mafia è vista da un lato come un cancro, dall’altro lato addirittura come un sistema di difesa naturale contro il terrorismo internazionale, contro la sua rete, contro le sue cellule, contro i suoi lupi solitari, contro la follia sterminatrice di menti imbottite di odio.
Da nativo siciliano, da italiano meridionale che ha vissuto il pregiudizio in una vita da terrone (sono pure tante le vittime di terronismo), sono rimasto turbato dalla visione di una Palermo blindata con cemento armato, auto di poliziotti e camionette di militari (una replica di quello che ho già visto in questi giorni nella mia terra in occasione di popolari manifestazioni). E non per prevenire terroristici agguati mafiosi.
Entrare nel cuore aperto di Palermo, inchinarsi davanti alla lapide che ricorda il mortale agguato mafioso (agosto 1980) al procuratore Gaetano Costa in via Cavour, e poi farsi largo tra i blocchi di cemento collocati a pochi metri, nell’incrocio con Via Maqueda (ne sono stati collocati anche ai Quattro Canti), pullulante di affollati locali a conduzione anche straniera, in un centro multiculturale e multireligioso, ti turba e ti spazza via ogni certezza. Si sgretolano pure i pregiudizi che, dalla nascita, ti riempiono i cassonetti del cervello.
Dopo Barcellona, dopo le stragi di innocenti in tante altre località europee e non europee, i muri si ergono pure in Sicilia, nella mia terra. E la mafia? E i permessi ai boss locali che, stando alle informate voci e agli immortali luoghi comuni, si dovrebbero richiedere per intraprendere qualsiasi tipo di attività? C’è ancora la mafia? o è all’oscuro di tutto? o sta sfruttando il fenomeno per fare affari?
Solo interrogativi senza risposta con personali ed emotive riflessioni da un non esperto, impressionato, come i rullini digitali della folla di turisti in via Maqueda, armati di smartphone che puntano, mirano e fanno fuoco con un clic sui monumenti della storia, molti arabi, per portare a casa un eterno ricordo di una indimenticabile vacanza in Sicilia.
Buona pace a tutti!
Raimondo Moncada
www.raimondomoncada.blogspot.it
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