Scrivere di nulla: possibile?

Si può scrivere sul nulla? Possibile? È una domanda che mi sono posto oggi. Non mi sottraggo, rispondo con sicurezza o quasi: penso di sì. Ci posso provare, almeno. Gli amici della Scuola Carver mi spingerebbero a farlo: devi lanciarti, nulla è impossibile!
Ci provo! Ci provo! 
Comincio… 
Un attimo… 
Non ci riesco! 
Pensavo fosse più facile. Prendo coscienza della difficoltà. Dall’intenzione all’azione si srotola una lunga autostrada e c’è chi ha solo i piedi nudi per percorrerla. Puoi pensare di essere chissà chi, puoi pensare di essere migliore di qualcun altro, puoi pensare di essere il migliore scrittore del mondo e di essere capace di scrivere il capolavoro di tutti i tempi, ma poi all’atto pratico ti metti lì, con penna e carta, o con le dita penzolanti sopra la tastiera del tuo computer o del tuo moderno smartphone e ti blocchi e stai in attesa della prima sillaba. Perché, a ben pensare, anche il nulla è un argomento in sé, che merita rispetto, che merita un approfondimento, che merita una conoscenza. Ha una sua sostanza. A volte hai la sensazione di toccarlo, di sentirlo, di vederlo. 
Non sono allucinazioni. Il nulla fa parte delle nostre esistenze. È un’intuizione, un pensiero sfuggevole. Qualcosa è, anche se sembra inesprimibile. Ma esiste. Lo sento. E ha una sua collocazione nel mondo, nell’universo conosciuto e anche sconosciuto. 
Un mistero. Un buco nero. Una nuova dimensione. Il vuoto contrapposto al pieno. Un concetto che cogli nella sua complessa diversità se riesci però a considerare, in tutta la loro pienezza, il pieno come pieno e il vuoto come vuoto. Mi viene, per associazione, un modo di dire: vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Questo abusato modo di dire significa proprio che c’è chi ha anche la capacità di vedere anche il vuoto, quella parte sopra il pieno che non è piena di niente, dove proprio non c’è nulla. 
E quindi il nulla esiste, lo vediamo. E lo possiamo anche avvertire. Se nel bicchiere mezzo pieno inseriamo un dito, avvertiamo all’inizio la sensazione del nulla che può avere anche una sua temperatura. Se continuiamo con l’inserimento del dito dentro un bicchiere mezzo pieno, andiamo dritti dritti a toccare il pieno producendo anche l’effetto di avere immerso il dito in due distinte dimensioni. E avvertiremo la differenza nelle due metà del dito: nella metà inferiore (quella dove c’è l’unghia) avvertiremo il senso di bagnato, nella metà superiore avvertiremo un senso di forte contrasto come la parte del corpo che in estate sta sopra il pelo del mare. 
Il nulla diventa allora qualcosa di reale e riempie le nostre vite ma, essendo apparentemente nulla, non ci facciamo spesso caso. Devi proprio essere fuori di testa, per entrarci e coglierne l’essenza profonda, l’essenzialità corporea. Avverti la presenza del nulla, ad esempio, quando sei dentro a una sconosciuta folla rumorosa o quando guardi troppe cose o leggi una quantità enorme di informazioni navigando su internet e poi non ti resta niente: tutto ti scivola via, nulla ti rimane attaccato al corpo, neanche una goccia di sudore. Nulla. Proprio nulla. Non c’è alcun passaggio, alcuna trasmissione, tra un neurone e l’altro: chiusi, spenti, buio, mai un inizio e mai una fine.  
Termino qui, perché non ho null’altro da dire. Penso però, alla fine, di esserci riuscito a non dire nulla e a scriverne. Speriamo bene. 
 
Raimondo Moncada 

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