Il prete con l’asino che fermò le bombe

Don Michele Arena rivive, nei suoi luoghi, nel cuore della sua città. Rivive? Molto probabilmente padre Arena non è mai andato via da questo lembo di terra che lo stesso sacerdote ha aiutato in ogni istante della sua vita. Lo ha dimostrato il numero di repliche e l’affluenza da tutto esaurito dello spettacolo Dixmude di Salvatore Monte, autore e regista della rappresentazione che per un mese è andata in scena dentro e fuori il complesso monumentale delle Giummare. 
Una “favola musicale” che ha visto coinvolte quaranta persone, tra ballerini, cantanti, attori. Con alcuni di loro ho pure recitato qualche anno fa nel Gruppo Teatro 13 nella commedia Niente sesso siamo inglesi. Un divertimento!
Di tutt’altro tenore e spirito lo spettacolo su Padre Arena, un omaggio nei confronti di un personaggio ancora molto amato a Sciacca, rimasto nella memoria collettiva, nella storia di una comunità che è accorsa in massa a vedere, ad assistere, a partecipare, ad applaudire e, in simbiosi con la rappresentazione, a ringraziare un uomo, un sacerdote che tanto bene ha fatto a Sciacca, in Sicilia, in Italia e anche in Francia. Perché la figura di Padre Arena è legata alla sua attività pastorale in favore degli ultimi, dei poveri, degli orfanelli (girava per le vie di Sciacca con un asino di nome Giummarello per raccogliere aiuti materiali da destinare ai bisognosi). Ma la sua persona è intimamente legata anche alla tragedia del dirigibile francese, il Dixmude, che precipitò a largo del mare di Sciacca nel dicembre del 1923 causando una strage: morto il comandante  Du Plessis e morti gli uomini dell’equipaggio. 
Lo spettacolo rievoca quei momenti, l’azione di Padre Arena nelle operazioni di recupero e di commemorazione delle vittime, la gratitudine del governo francese che volle tributargli la Legion d’Onore. 

Intensi momenti di storia rivissuti a quadri, in più dimensioni, tra Francia e Italia, sfruttando luoghi reali diventati per l’occasione vivi palcoscenici: l’atrio Valverde, la chiesa e gli interni del complesso Monumentale delle Giummare aperti per la prima volta al pubblico dalle suore del convento di Santa Chiara (anche loro dentro le scene, protagoniste). 

Ho potuto così visitare un mondo mai visto, un tempio dello spirito, un luogo di preghiera, di riflessione e di azione di uno straordinario religioso. Ho raggiunto lo spazio privato dentro il quale padre Arena si raccoglieva; ho girato attorno alla sua scrivania su cui poggia il plastico della colonna votiva che fece erigere al Viale delle Terme con in vetta Notre Dame de Fourviere; ho visto da vicino le cose a lui più care, i suoi libri, i suoi quadri, e i tre attestati di riconoscimento  provenienti da quella Francia diventata a tal punto amica di Sciacca che durante il secondo conflitto mondiale – rievoca lo spettacolo – non sganciò una sola bomba sulla città. 

È un viaggio per narrazioni e suggestioni che ha visto, tra gli altri, sulle scene: Riccardo Plaia, Domenico Vernagallo, Luigi Ciaccio, Consuelo Ciaccio, Samanta Misuraca, Patrizia Di Fede, Giovanni Giglio, Silvana Bono, Alessandro Bonacasa, Emanuela Bacchi, Aleandro Rizzuto, Gabriele Fazio, Vittoria Casandra. Voglio poi ricordare Luigi Sclafani che ho visto per la prima volta nelle vesti di attore e Vincenzo Raso che da piccolo recitò nel film Sedotta e abbandonata di Pietro Germi. 


L’ultima replica del Dixmude, programmata a grande richiesta e alla quale ho assistito, si è chiusa con la recita di una  preghiera di ringraziamento a padre Arena scritta all’epoca da un orfanello e recitata da uno dei bambini attori. E poi, forse perché in un periodo di vacanza-studio dedicato a un personale viaggio nelle radici della città (puoi provare a conoscere un luogo avventurandoti nella trama della sua scrittura!), mi è anche rimasto dentro un invito dell’amato sacerdote interpretato dal maestro Riccardo Plaia e a cui, nel mio personale racconto, dedicherò lo spazio che merita: 

Non dimenticate mai la storia della vostra città. Abbiatene cura. È un bagaglio troppo prezioso per essere perduto”. 

Raimondo Moncada

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