Chiamatemi Valentina

“Chiamatemi Valentina”. Immagino Andrea Camilleri, tutto intubato in Rianimazione, superare l’immobilità di questo suo ricovero all’ospedale Santo Spirito di Roma trovando il modo di dettare il suo ultimo romanzo. E non a una persona qualsiasi. 

Non è facile per uno scrittore come lui rimanere fermo. Non può. Nel vulcano sempre ribollente della sua testa gli sarà salita una nuova storia che ora ha urgenza di mettere su carta. E lo deve fare. 

“Il commissario cadde ma si rialzò ancora…”

Nel suo lettino, Andrea Camilleri avrà già acceso i fari del suo “teatrino visivo mentale”. Per i medici oculisti è cieco. Ma lui vede lo stesso, con altri occhi, quelli che guardano non fuori ma dentro. Ha imparato a usarli dopo lo spavento del buio improvviso di qualche anno fa. 

“E ora ci vedo più chiaramente”. 

Lo scolaro Camilleri, ultra novantenne, ha imparato anche a fare altro. 

“Non ho mai alzato bandiera bianca”.

Non potendo più usare le mani, ha imparato a scrivere con la bocca. Chiama così Valentina, la sua inseparabile collaboratrice, che da circa vent’anni lavora con lui alla correzione delle bozze, e detta le sue storie in vigatese che Valentina conosce bene pur essendo abruzzese. È stata lei, Valentina, a proporglielo sedendosi davanti al suo computer e a incitarlo. 

“Dai, provaci Andrè!”

Il primo romanzo da cieco lo ha pubblicato nel 2017 ed è La rete di protezione. 

“Ci tengo molto”.

Persa per sempre la sua abituale tecnica e abilità di scrittura, Camilleri non si è perso d’animo: si è inventato un nuovo metodo per scrivere e per togliersi le storie dalla testa, troppo affollamento: si costruisce un suo teatrino mentale e lì dentro fa muovere e parlare i suoi personaggi. 

“Montalbano sono!”

“Cu?”

Ora, immobile, col respiratore artificiale, sul suo lettino, circondato da medici e dai suoi affetti più cari, in ansia per il contenuto di nuovi bollettini, immagino l’immaginazione di un uomo, di un artista, che a 93 anni stava non solo scrivendo ma anche imparando a memoria un altro monologo per portare in scena, dopo il cieco Tiresia, il presunto cattivo Caino il 15 luglio alle Terme di Caracalla. Una forza della natura! E lo immagino in movimento, in attività, mettere a punto un’altra tecnica per continuare a fare quello che ha sempre fatto. Più di prima, meglio di prima. Lo vedo così ripassare la parte di Caino non caino; e lo vedo nelle pause del suo amato teatro provare pure le scene del suo nuovo romanzo, dopo aver trovato finalmente un nuovo modo per bypassare quell’armatura medica della Rianimazione e dettare all’amica collaboratrice le sue storie.

“Chiamatemi Valentina!”

“Sono qui, Maestro…”


Raimondo Moncada

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