Nel giorno dell’esame di maturità di mia figlia mi sono dimostrato un padre maturo, coraggioso, freddo, lucido, incoraggiante.
Mi sono sorpreso di me stesso: un gladiatore!
Nel penultimo giorno dell’esame delle tre buste, lei è stata la prima a sedersi su quella sedia – spalle ai genitori, faccia ai professori – che ti fa sentire come di fronte a un plotone d’esecuzione.
Una sensazione che ho provato al mio esame di trentaquattro anni fa, al liceo scientifico. Ma gli esami non finiscono mai e l’ho riprovata agli esami, al liceo classico, di chi ho messo al mondo.
Quando ti siedi, poi cambia tutto: pensieri, aspettative, paure.
Dopo la prova scritta, con tracce di temi che hanno positivamente sorpreso in tanti, ecco le tre buste di un esame tutto nuovo a cui manca solo Mike Bongiorno.
Il presidente le posiziona sul tavolo. Ti può uscire di tutto. Dalla pesca dipende il tuo esame, il contenuto di quella busta te lo condizionerà in bene o in male.
L’inizio è fondamentale, per lo stato emotivo.
Speri ti esca qualcosa di attinente al tuo percorso di studi, alle tue letture, ai tuoi libri, ai tuoi autori, ai tuoi desideri, alle tue prospettive per dimostrare quanto vali e soprattutto quanto sei matura al di là del nozionismo superato da internet.
Ecco la scelta: la busta centrale! Da lì partire per fare collegamenti con le correnti letterarie, con i principali autori, con la storia, con la filosofia, con la tua reale esperienza di alternanza scuola-lavoro.
Il presidente apre la busta. I cuori di figlia, madre, padre, sono un cuore unico. Si amplificano i battiti.
Dalla busta esce un foglio bianco e una scritta che non è una scritta, non ci sono parole, anche se ci sono consonanti dell’alfabeto mischiate a dei numeri, a dei meno, a dei più … Da una delle tre buste esce una funzione matematica. Scritta bene, non c’è che dire.
La statua di Tommaso Fazello, a pochi metri, storce naso e bocca e comincia a liquefarsi sotto i 40 gradi del caldo reale e gli 80 di quello percepito.
Nella classe c’è un attimo di silenzio. Il presidente passa una bottiglietta d’acqua alla candidata. Un bel gesto. Anche io vorrei bere, a cannolo.
Approfitto di quel silenzio e di quell’attesa eterna di pochi secondi per uscire dalla classe, e passeggiare nei corridoi della scuola, del liceo classico Tommaso Fazello, come quando mi sono messo a passeggiare nei corridoi dell’ospedale in attesa che mia figlia, la candidata, uscisse al mondo per poi affrontare al liceo classico, diciotto anni dopo, il suo esame di matematica.
Grande prova di coraggio paterno. Ancora mi faccio i complimenti.
Nella mia testa si aggrovigliano mille pensieri. Uno lo scrivo su Facebook, per scaricarmi, per utilizzare quelle parole che spero escano dalla bocca della candidata che non sento più perché mi sono allontanato di metri e metri fino in fondo al corridoio, lontano pure da Tommaso Fazello che nel frattempo si è messo a piangere: “Quando al liceo classico, al liceo classico (liceo classico!), ti esce matematica, e poi dalla matematica passi alla fisica, la poetica del sistema solare e delle funzioni trigonometriche, con i viaggi interstellari dell’uomo, raggiunge (parlo sempre della classica poetica) il massimo dei picchi celesti e sei felice perché, non cadendo come un pero, hai dimostrato di essere maturo”.
Ritrovo audacia. Mi avvicino alla porta. C’è la mamma della candidata attenta e apparentemente serena e fiera. Faccio dei cenni: come va?
E lei mi tranquillizza: tutto ok!
Avvicino timidamente l’orecchio, ascolto, va come un treno, troppo. Sento per la prima volta mia figlia interrogata, argomentare con sicurezza e contenuti, e con la sua testa collegare quell’iniziale “limite” algebrico a tutte le materie e ad autori della classicità e al muro dell’Infinito di Leopardi e al naso storto di Uno nessuno e centomila e alle libertà negate dai totalitarismi e a tanto altro detto pure in inglese e mi dico: per me, che sono suo padre, mia figlia è matura.
Anche se non ha parlato di Joe Pitrusino, non fa niente. In queste situazioni di ansia estrema, qualche errore si può commettere e si deve perdonare. Siamo umani.
Raimondo Moncada
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