La guerra degli auguri

Negli ultimi anni, l’ultimo giorno dell’ultimo mese, cerchi di difenderti da ogni attacco augurale chiudendoti dentro un bunker. 

Non è una guerra, ma quasi. 

La situazione è completamente mutata rispetto a prima dell’avvento dei social. Allora, nel pre social, si usciva, si andava dalla vicina, si chiamava dal telefono fisso, si scriveva una cartolina; ora si sta tutti a casa seduti in poltrona o seduti in bagno a digitare. 

Se la situazione è peggiorata o migliorata questo dipende dalle difese psicologiche e dalla sensibilità di ognuno. Su Facebook, su Twitter, su Messenger, su LinkedIn, su Instagram, su Whatsapp, su Telegram è un continuo bombardamento (niente più email e sms, sanno di antico, di età della pietra). Non ti arrivano proiettili, ma notifiche sonore o visive di video, di animazioni, di messaggi scritti rivolti a te e alla tua famiglia: non viene risparmiato nessuno dei tuoi cari.

Non sono intimidazioni. Sono messaggi di auguri, ancora auguri dopo quelli già ricevuti l’altro giorno a Natale e a cui stai ancora rispondendo. Perché devi rispondere a tutti, perché altrimenti ci rimangono male, personalizzando il messaggio, trovando un altro video, un’altra animazione, un altro messaggio scritto, un film intero che si adatti alla persona a cui rispondi. 

Non è facile, perché sono a migliaia e perché a ognuno va inviato il suo messaggio, con i colori adatti agli abiti che indossa e le colonne sonore che più piacciono. Non puoi, ad esempio, mandare la stessa rosa che hai mandato a tua moglie, che ti sta accanto, anche alla vicina di casa che la notte di Natale ti ha lasciato la spazzatura davanti la porta con dentro il pesce dell’anno prima dimenticato in magazzino. Alla vicina devi inviare il tuo sacchetto della spazzatura con dentro la carne che è rimasta quando ti sei sposato. 

E allora anche tu stai lì, con il cellulare in mano, come tua moglie, come i tuoi figli, i tuoi genitori, i tuoi suoceri, tutti gli amici e i parenti invitati a casa tua per il cenone della vigilia di Capodanno che tutti dimenticheranno perché troppo impegnati a scrivere messaggi di auguri a destra e a manca, parando i colpi dei vari gruppi a cui sei pure iscritto o ti hanno iscritto a tua insaputa. Perché la stessa persona è capace di inviarti un messaggio di Buon Anno nella tua personale casella privata di Messenger e poi ritrovarti lo stesso messaggio sul gruppo del condominio, su quello degli interisti che ce l’hanno sempre con la Juventus, su quello degli amici dell’asilo, delle scuole elementari, delle medie, del liceo e dei trombati all’università; su quello “Il silenzio è farmaco contro lo stress quotidiano”. Che poi è lo stesso amico, parente, collega, che hai salutato con un abbraccio e un bacio e tanto di auguri cinque minuti prima in ufficio, al supermercato, in piazza: “Buon inizio e buona fine!”, come se fosse una minaccia di morte. 

Alla fine ci pensi e ti dici: ma meglio un augurio (quando è sincero ha un effetto magico!) che un malaugurio o niente. Perché c’è chi non viene degnato di attenzioni e c’è chi augura pure il male degli altri e prova piacere. E c’è infine chi ti ha cercato, trovato, abbracciato, baciato, inondato di auguri anche per posta cartacea alla vigilia del Capodanno e il giorno dopo neanche ti considera: ti vede, ti incrocia per strada e ti evita: “Cu sì?”. 

Dunque, auguri a tutti, indistintamente, senza distinzione di razza, religione, distanza, cultura, colore dei capelli. E che questi miei auguri di un 2020 favoloso vi raggiunga in ogni dove attraverso tutti i canali con cui sono arrivati a me, anche a dorso dei cammelli dei Re Magi in viaggio, al freddo e al gelo, attaccati alla loro e nostra stella donando a voi, alla vostra famiglia, a tutti noi, oro, incenso e mirra (mirra, mi raccomando, non birra!).
Raimondo Moncada 
P.S Auguri a te e famiglia. 

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