Sciacca al di là del vetro, col suo porto e il suo mare
Tutto è diventato così distante. Tutto è diventato così lontano. Tutto è diventato così irreale.
Ogni giorno la voglia di avvicinarti aumenta. Aumenta il desiderio di toccare, di andare al di là del vetro, di prendere l’acqua del mare tra le mani, di sentire quella sensazione che in piccolo senti quando, per lavarti le mani, rinfrescarti l’intoccabile volto, gli occhi, il naso, la bocca, apri il rubinetto di casa trasformata in covo.
Ci nascondiamo, come i latitanti, per non farci raggiungere. Ci nascondiamo, per ritornare, un giorno, ad avvicinarci e a toccarci. Perché noi umani non possiamo non toccarci, non possiamo non avvicinarci, non possiamo non abbracciarci, non possiamo non baciarci, non possiamo solo contattarci a telefono, per email, per messaggi social.
Tutto questo ci manca da morire e ce lo diciamo, ogni giorno, con parole che pure vengono meno, che pure perdono di significato.
E ci parliamo, quando ci parliamo, a metri di distanza o nello schermo piatto di un cellulare, guardandoci negli occhi che non sono più gli occhi di qualche settimana fa. Sono occhi che provano a dare parola a una bocca muta, che non si vede più, nascosta da mascherine che ci rendono irriconoscibili, che ci rubano l’identità.
Neanche il riconoscimento facciale si attiva nei nuovissimi e super tecnologici smartphone che negli ultimi anni ci hanno fatto sembrare dei giganti in un mondo rimpicciolito, ma che nulla hanno potuto contro un nemico minuscolo.
Occhi che piangono, ogni giorno, dopo quel bollettino che vuoi evitare, che eviti finché ci riesci.
Il lutto, se non ti colpisce in prima persona, ti arriva lo stesso da altre case, anche a distanza di migliaia di chilometri. E non è il vento a portarti quella sensazione che ti rabbrividisce il corpo e ti svuota l’anima. Ti senti come un albero in autunno, impotente a trattenere il pianto delle foglie strappate.
Raimondo Moncada
Lascia un commento