Il telefono dell’amicizia

Oggi mi squilla il telefono, quello portatile, il telefonino, poi diventato cellulare e poi ancora smartphone. Sono indaffarato, non so se rispondere. Ho il telefono, telefonino, cellulare, smartphone in tasca. Alla fine decido di prenderlo. Leggo sul display il nome e anche il cognome (c’è chi in rubrica scrive solo il nome o solo il cognome o anche il nomignolo o la ‘ngiuria). 
Per chiamarmi a quell’ora inconsueta e per chiamarmi dopo tantissimo tempo che non ci sentiamo ci sarà una ragione importante, avrà bisogno di qualcosa di urgente, penso. Dopo i saluti, dopo che ci diciamo come va e come non va, dove siamo e cosa facciamo, va al dunque, al cuore della telefonata, alla ragione che lo ha spinto a prendere il suo telefono, telefonino, cellulare, smartphone e a selezionare il mio nome e cognome dalla rubrica:
“Ogni giorno chiamo un amico, così per sentirlo, scambiare due parole”. 
E anche se sono indaffarato, anche se le persone che nel frattempo mi incontrano mi salutano e io non le riconosco a causa della mascherina facendo malafigure su malafigure, anche se ho fretta, rispondo e converso con piacere, dedicando tutto il tempo che ci vuole, senza darmi un tempo, per rinnovare l’amicizia. 
Il telefono serve anche a questo, da sempre, per ridurre le distanze, per legare due persone poste in posti diversi col filo dell’affetto e della stima reciproca.
Raimondo Moncada

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