Quell’estate al lago con Franco Battiato

Raimondo Moncada liceale

È come se fosse andata via una parte di me. 
Anzi, è andata via proprio una parte di me. 
La notizia mi è arrivata per WhatsApp in mattinata, da un caro cugino, Tarcisio, dal centro Italia: 
“In ricordo dei bei momenti che insieme abbiamo vissuto durante periodi estivi di tanti anni fa, in cui mi hai trasmesso la bellezza dei canti di Franco Battiato”. 

Allora, adolescente, non facevo che ascoltare e fare ascoltare Franco Battiato. 
Ancora non c’erano i telefonini, gli smartphone, Internet, Youtube, Spotify ecc. 
Ancora non c’era la velocità di adesso, la ricchezza di adesso, il troppo di adesso. 
Ti dovevi accontentare di un disco in vimini da estrarre da una custodia di cartone e far girare su un piatto con puntina o di una musicassetta da ascoltare con un walkman. 

Lentezza. 

Tempi antichi.

Tempi vissuti.

E con la lentezza di quei tempi, ho vissuto un’estate di quarant’anni fa (siamo agli inizi degli anni Ottanta). 

Tutto comincia dalla stazione ferroviaria di Agrigento Centrale dove prendo il treno, da solo, senza nessun altro. Col suo comodo (soprattutto in Sicilia), il treno mi fa arrivare dopo ore e ore a destinazione, in Molise. La prima tappa è Isernia, poi con altri mezzi salgo a Sant’Agapito, paese di montagna di mia zia Alfonsina (sorella di mio padre), di mio zio Salvatore, dei miei cugini, sempre legati da grande affetto, nonostante i mille chilometri di distanza (mio padre, solo con un piede, si partiva da Agrigento con una Cinquecento: a bordo aveva me, altri due fratelli piccoli e mia madre). 

E Franco Battiato, con le sue parole, con la sua musica, è stata la colonna sonora di quel viaggio, di quella vacanza, di quella voglia di allontanarmi dai rumori, dalla quotidianità; di evadere, di rompere monotonie, di staccare, di ricercare pace, silenzio, rigenerazioni. Ricordo ancora una pedalata di mezza giornata (non avevo più aria nei polmoni) su una bicicletta tra strade isolate, tra alberi parlanti, tra fresco ossigeno, tra l’ansia di non arrivare mai alla meta sconosciuta, per poi ritrovarmi davanti agli occhi la scintillante meraviglia di un lago calmo che più calmo non si può, con dentro tutto il cielo, fino ad allora visto solo nei bei film in televisione. 

Quell’estate in Molise, ho vissuto la musica di Franco Battiato nella sua totalità e in ogni dove: Nomadi, L’oceano di silenzio, E ti vengo a cercare, Il mito dell’amore… 

Franco Battiato era nel lago, era tra i boschi, era ovunque. 
E oggi è un intero giorno che ti ascolto, che riascolto quelle musiche, che canto quelle parole, piangendo e continuando quel viaggio infinito alla ricerca della dimensione insondabile. 

Vivere non è difficile potendo poi rinascere.
Cambierei molte cose, con un po’ di leggerezza e di stupidità.
Maestro, buon viaggio a te e grazie per le indicazioni. 
Raimondo Moncada

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