La paura dell’Hub

Mi ha telefonato un signore di una certa età, un anziano direbbe qualcuno, un vecchietto direbbe qualcun altro, un appartenente alla terza età mi direbbe il presidente di un’associazione della terza età.
“Carmela?”
Ha sbagliato numero, ma ne ha approfittato per chiedermi aiuto. 
Il vecchietto è della generazione a.S., avanti smartphone e a.I., avanti Internet. È fuori dal cosiddetto Nuovo Mondo. Ma non lo soffre, così sembra. È solo preoccupato dalle martellanti notizie che ascolta ogni giorno in radio, la sua compagna di vita oltre alla moglie della quale si prende cura non essendo più autosufficiente. 
In italiano, perché parla solo l’italiano, mi ha chiesto consigli chiari, semplici, intellegibili, su come comportarsi per uscire di casa, per proteggere se stesso dal virus, la moglie e le persone che prima del virus lo andavano a trovare a casa per fargli fare quattro chiacchiere e che vorrebbe incontrare di nuovo.
“Ho difficoltà a capire. È come se mi parlassero in un’altra lingua perché così mi sono convinto altrimenti avrei ammesso di essere un cretino che non capisce più nulla. E cretino non sono. Mi faccia capire, per favore”.
L’ho subito tranquillizzato dicendogli che intanto non c’è più il lockdown del marzo 2020 e che può recarsi liberamente all’Hub più vicino per farsi il vaccino auguradosi di non trovare in smart working il personale sanitario.
“Che cosa?”
“E ne ha tutto il diritto. Ci può andare quando vuole avendo l’età, la fragilità, ed essendo tra l’altro un caregiver badando a sua moglie che senza un caregiver non vivrebbe”.
“Che cosa?”
Gli ho detto di aprirsi immediatamente un account attraverso un device qualsiasi e prenotarsi online mettendosi in waiting list. Per non farsi trovare impreparato, gli ho anche suggerito di scannerizzare il documento d’identità e di mettere il file sul desktop per essere subito allegato.
“Ora le scrivo il link, con l’URL per esteso”. 
“Che cosa?”
Mi sono permesso poi di rimproverarlo perché non ha approfittato dello screening effettuato nel suo condominio dai medici del Covid Hospital intervenuti dopo che si era avuta notizia di un cluster. Come scudo, ha optato per il social distancing per evitare spiacevoli droplet potenzialmente contagiosi. Un comportamento che ho criticato perché così facendo ha messo in seria difficoltà gli addetti del contact tracing.
“L’avviso affisso in portineria era chiaro: SCREENING PER CLUSTER”
“C’è assai tempo da perdere?”, mi ha chiesto.
“Dipende dal timing dell’Hub e se passa indenne al termoscanner” ho risposto.
“E che cos’è? Non mi faccia spaventare…”
“È una pistola con un raggio luminoso”.
“Una pistola?”
“Una sorta di scanner per rilevare la temperatura del suo corpo”.
“E aiuti ne danno anche a chi non capisce nulla per farsi ricoverare in una clinica specializzata?”
“C’è il Recovery Fund, ci potrebbe essere un nuovo cashback…”
Il vecchietto mi ha ripetuto con tutta sincerità di non aver capito un’acca, neanche quella dell’Hub, pregandomi di ripetergli tutto di sana pianta, rallentando l’eloquio, traducendogli i contenuti in modo simultaneo per fargli capire anche con i gesti per sordomuti cosa deve fare, dove deve andare, a chi deve rivolgersi per non morire di Covid.
Capendo la sua condizione di difficoltà estrema, gli ho consigliato il mio ultimo webinar registrato su Zoom e caricato su YouTube e indirizzato proprio al suo target dal titolo “A tutto Hub, dal tampone al vaccinone”.
“Abbi che?”
“Hub! Hub! Non lo confonda con 
l’Hobby che ha la i lunga e che significa un’altra cosa”. 
“Le credo sulla parola che non ho afferrato”. 
Il vecchietto mi ha quindi ringraziato per averlo convinto a rimanere chiuso a casa:
“Ho una paura matta di questo Hub, paura di uscire dalla porta ed essere tamponato. Non voglio che si dica che sono morto prima del vaccino. Preferisco stare a casa, bere acqua con l’alloro e ascoltare Radio Londra in inglese che, pur non capendo un accidenti, mi tiene compagnia e non mi spaventa”.

Raimondo Moncada

P.S. Testo opera di fantasia, ma non troppo.

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