La lettera di Pirandello



Caro Raimondo,

ti scrivo questa mia e non sua per esprimerti tutto il mio sentimento umano surreale spremendolo all’essenza per fartelo giungere bello concentrato e, dunque, con la più efficacia potenza affettiva. 

Io seppi, e come seppi seppi. 

Qui a Girgenti fa friddu di moriri che si allavancano gli augelli e il povero mio pino (non lo scambiare per il tuo amico Giuseppe) si è seccato di stare immobile al Caos e alla prima folata di vento la sua bella chioma ha preso il primo volo per l’altro continente attraversando colà (ma che significa?) il mare africano. 

Seggo nel mio tavolo sopra la sacra e impagliata seggia dopo aver divorato le care ammiscate ingiullandomi di litrate di gazzosa e fervor di spuma. Adunque acciocchessia per la quale scrivo questa mia che non è sua ma diventa tua, tra una commedia e l’altra che compongo a una va e una veni che ho la mano che se si ferma sta male e a mano a mano che sta male sto male pure io. 

Stranezze, acciocchessia. 

Sappi, e comu sappi sappi, che puoi contare su di me, per qualsiasi cosa. Meco starai bene. Un colpo di telefono, un messaggio dall’arata campagna su Vazzappa, una novella con piccioni viaggiatori (caravigghiara!) e ti vengo a prendere col mio mulo, che senza lavorare non ci sa stare, come la mia man veloce e come lo stesso me medesimo identico che lavoro proprio come lui, come un mulo. E ora scusami ma mi ritiro per spuntar lo pelo dal mio canuto pizzo di varba che altrimenti vengo male nelle fotografie pro posteri. E poi mi attendono Leonardo e Andrea per una giocata a scopa. 

Allegonsigonsi foto scattata da Marta. 


Girgenti, 23 novembri 2022


Tvb

Tuo, ma anche suo e di altri,

Luigi Pirandello 

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