La fontana del cuore


Un tempo non troppo lontano la bevevamo tranquillamente. Non c’era alcun dubbio nelle nostre teste. Non chiedevamo certificazioni sanitarie di alcun tipo. Si appuzzava al cannolo (ci si attaccava al rubinetto come a un biberon o una mammella materna) e si beveva l’acqua che giungeva non si sapeva da dove. Ma che importava. Si beveva e basta, per dissetarsi dopo una corsa per vicoli, vie e piazze dove non incontravi neanche una macchina, neanche una moto, neanche un lupo che potesse farti paura. 

Ora invece se non andiamo al supermercato a comprare l’acqua nella bottiglia non più di vetro che costa di più ma di plastica non beviamo. Possiamo morire dalla sete. Dobbiamo bere dalla bottiglia che ha l’etichetta con il controllo del Dipartimento sanitario dell’Università tal dei tali e che ti garantisce dall’alto della sua autorevolezza che l’acqua minerale fa bene alla salute perché biologicamente pura e con una bella percentuale di potassio e magnesio e basso contenuto di sodio e media presenza di quel minerale che fa pure bene alla ricrescita dei capelli e delle unghie e ti fa digerire l’impossibile. 

La bottiglia ormai non deve mancare sulle nostre tavole. Tanto la plastica la buttiamo anche se contribuisce all’inquinamento del pianeta con la sua penetrazione nelle falde acquifere. E le povere fontane le lasciamo sole, abbandonate, buone soltanto per il bucato, per innaffiare le piante, per pulire i pavimenti e per riempire lo sciacquone del bagno. 

Come ti è andata a finire mia cara e povera fontana (ricordo le file con mio padre alla fontana di Bonamorone, ad Agrigento, ma quella è tutt’altra epoca e storia di totale mancanza d’acqua nelle case per settimane se non per un intero mese). Neanche se venissero tutte le Università del mondo a dichiarare che l‘acqua da te sgorgante ci convinceremmo a riprendere a bere da te. Sei destinata a sparire, ma rimarrai nella memoria del mio cuore. Per ricordarti proporrò una Festa del Cannolo.

Raimondo Moncada 

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