Sono un uomo di panza, nel significato buono del termine. Con la mia panza canto, parlo, recito, ballo, salto, mi libro nell’aria.
La panza è un mio segno distintivo.
Quando vai per entrare in una porta, ti riconoscono subito dalla caratteristica conformazione del profilo: entra per prima. Così come entra, con le gobbe di un cammello, nella cruna di un ago.
Lasciatemi con la mia panza: ho fatto tanto per coltivarla. A eliminarla non ci vuole niente: basta non mangiare e correre fino ad avere le allucinazioni.
Budda aveva la panza. Le moderne statue del Budda continuano ad avere la panza. Lo Zen è panzuto. Ci sarà una ragione divina. Se ti applichi, con l’illuminazione addominale puoi raggiungere le più alte vette dello spirito.
Ma la panza, nonostante ciò, non è ben vista nella moderna società dell’immagine e del giro vita: con la panza non si avanza! Ti sfottono per costringerti a diete massacranti, ti buttano in una palestra a riempire bidoni di sudore.
Ne so qualcosa.
Solo se fai danza – dicono gli esperti di tutto – non hai panza. I ballerini ne sono una testimonianza. Vedi il grande Roberto Bolle: fisico perfetto, asciutto, scolpito, con tanto di tartaruga caretta-caretta a incorniciare l’ombelico.
Nessuno lo sa, ma sono stato anch’io un ballerino. Sì, ho ballato. C’è cosa? Ho cominciato a muovere i primi passi in una compagnia folclorica di Agrigento: La Vallata.
Siamo alla fine degli anni Ottanta.
Subito dopo ho fatto il salto nell’Olimpo della danza. Avete capito bene! Nel mio passato ho anche un glorioso trascorso di danza classica. Proprio così.
Lo so che qualcuno sta già malignando: a vedere lo stato della tua attuale panza non si direbbe!
Ho abbracciato l’arte tersicorea più che ventenne.
Siamo nei primissimi anni Novanta.
Ho iniziato con la modesta panza che mi ritrovavo, priva di impronta di tartaruga.
Ho chiesto a un’amica, una straordinaria prof di danza classica, se potevo darle l’onore di entrare a far parte della sua già prestigiosa scuola: “Ti prego, fammi provare”.
Mi sono messo in ginocchio. Ho strisciato per terra. Ho fatto lo sciopero della fame e della sete. Ho pianto notte e giorno. Poi mi ha accettato volentieri esaltando la mia naturale predisposizione al ballo.
Sono entrato assieme a un amico, lo scrittore Fabio Fabiano. Anche lui una sicura promessa della danza mondiale pur non avendo mai fatto un arabesque, un plié, un pas de bourree. Solo la spaccata del cavallo dei pantaloni.
Nella vita bisogna provate di tutto, sperimentare, toccare con mano i propri limiti.
Non è vero che si inizia da bambini ad abbracciare questa difficile arte che richiede un duro e quotidiano esercizio. Solo uno come me avrebbe potuto resistere il tempo necessario.
Nella scuola di danza classica ci sono stato un mese, trenta giorni. Stessa durata per Fabio. Abbiamo fatto fare brutta figura a tutti. Ogni esercizio era una risata. Ridevo io, rideva Fabio, rideva l’insegnante, ridevano i suoi giovanissimi allievi.
Che lezione!
La prof li avrà ben ammaestrati dicendo: Ecco quello che non dovete fare. Guardate Raimondo e guardate Fabio e dimenticatelo. Fate esattamente il contrario e diventerete dei grandi ballerini.
Allo specchio ero inguadrabile. Ho sperimentato le infinite possibilità del mio corpo e ho capito che la panza, tutta la panza in fieri, faceva per me.
La mia è ormai diventata una Panza Classica. Mi esercito tre volte al giorno. E devo dire che i risultati si vedono tutti ed escono fuori.
È il mio punto di equilibrio. Senza cadrei a terra.
È il mio punto forte: senza non sarei neanche considerato.
La mia panza fa parlare le persone. Mette di buon umore.
Con la mia Panza Classica esisto.
Gli antichi saggi siculi avevano ragione: la panza è prisenza.
Raimondo Moncada
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