Il “severamente vietato” esiste solo in Italia. Non ci avevo mai fatto caso. L’ho scoperto oggi a un seminario di aggiornamento e formazione continua dei giornalisti che si è tenuto ad Agrigento, al Palazzo della Provincia (ora Libero Consorzio dei Comuni), promosso dall’Ordine dei Giornalisti di Sicilia.
Un incontro, assieme a tanti altri già tenuti, molto interessante, formativo, pieno di spunti e di curiosità. Oggi si è parlato di informazione digitale, web, nuove tecnologie, Social Network, prospettive dei quotidiani cartacei, con Francesco Pira, docente di comunicazione e linguaggio giornalistico all’Università di Messina, e Giovanni Villino, componente del consiglio dell’Ordine e giornalista del Giornale di Sicilia. Ha moderato il seminario il giornalista e scrittore Lorenzo Rosso.
Sono intervenuti, con riflessioni e ponendo domande, il segretario dell’Assostampa di Agrigento Stelio Zaccaria e i giornalisti Francesco Di Mare e Gerry Gandolfo.
Sempre presente agli incontri formativi di Agrigento il vice presidente dell’Ordine dei Giornalisti Di Sicilia Teresa Di Fresco.
È stato Francesco Pira, autore di tante pubblicazioni di successo, a fare osservare la differenza tra l’Italia e gli altri paesi d’Europa in fatto di severità di divieti, proibizioni, obblighi italici. Questione di linguaggio, ma non solo. Negli altri paesi, ha rilevato Pira, basta l’indicazione del semplice divieto per fare rispettare la prescrizione. In Italia no. Ci vuole almeno l’avverbio “severamente” per provare a spaventare il cittadino e sperare che nessuno – così severamente minacciato – attraversi con la moto una strada franata con divieto di accesso o di transito, che nessuno passi con la macchina in una piazza riservata ai passeggini, che nessuno edifichi grattacieli in una zona a inedificabilità assoluta, che nessuno butti l’immondizia davanti l’ospedale o fuori dagli orari consentiti, che nessuno faccia il bagno nella fogna, che nessuno fumi in una sala operatoria, che nessuno passaggi ai bordi del cratere eruttante dell’Etna.
Come base di civiltà e di convivenza civile, è severamente vietato dalla legge non conoscere la legge affinché la legge sia severamente rispettata e uguale per tutti.
La corretta e obiettiva informazione gioca un ruolo fondamentale nella diffusione della conoscenza e nella crescita culturale di un popolo, anche quello del web che annovera ultimamente le nuove generazioni dei “nativi digitali” quelli che in bagno vanno con lo smartphone e con tablet (ora anche i nativi cartacei si siedono armati di iPhone).
Ma, purtroppo, esistono le bufale, tante bufale di origine remota fatte circolare sui Social come virus infettivi e a cui in tanti superficialmente credono all’istante dando origine a una serie infinita di condivisioni e commenti. È stata ricordata, a tal proposito, la notizia sulla morte del noto telecronista sportivo Bruno Pizzul. Una notizia non vera che dopo ore di commenti, di dispiaceri, di condoglianze e di sentito lutto nel mondo dello sport, il diretto interessato, pur essendo vivo, avrà pure avuto difficoltà a smentire. Lo ha aiutato un amico giornalista alla fine di una corrispondenza in diretta dalla Russia su fatti di guerra in Cecenia che non c’entravano nulla con la vita di Pizzul. Immagino il tenore della corrispondenza: con vivissimo piacere, e dopo aver consultato accuratamente le mie fonti e aver lungamente parlato col diretto interessato, confermo quanto dichiarato da Bruno: Pizzul è vivo.
Un elemento di preoccupante verità emerge da tali considerazioni. Quando il web “rulla” per ore e ore e per un numero considerevole di siti incontrollabili e incontrollati una notizia non vera o parzialmente non vera è difficile da smentire o semplicemente da far correggere. Il danno è stato fatto. La notizia ha fatto il giro e il rigiro del mondo e a tantissimi è penetrata nel cervello già col solo titolo sparato in negativo e con la foto segnaletica, per cui diventi morto o assassino in pochi millesimi di secondo, pur non essendo morto perché vivo e pur non essendo assassino in quanto già morto. E sarà difficile far cambiare idea a miliardi di utenti che, fermandosi alla superficie e col cervello penetrato dalla bufala, si sono fatti un’idea severamente blindata sui fatti.
Solo la credibilità e la serietà del giornalista che dà la notizia, verificandola severamente con le sue severe fonti, solo il prestigio e la severa serietà della testata giornalistica che pubblica e severamente verifica a sua volta la notizia, sono garanzia per tutti. Sono garanzia per i lettori/ascoltatori e sono garanzia per il futuro dello stesso giornalismo e dei giornalisti chiamati a rispettare severamente non divieti ma le tradizionali regole del buon giornalismo senza farsi travolgere dall’impazzita velocità dei Social e dallo scooppismo a tutti i costi.
Raimondo Moncada
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