Ecco il primo selfie, è nato trent’anni fa in un vespasiano



















Il primo selfie nasce in un cesso. Un cesso straniero. L’origine ha una data oltre che un luogo. Siamo a Parigi nel 1986. La prova del primo selfie moderno l’ho fatta all’interno di un vespasiano pubblico a pagamento, un gabbiotto in metallo dove infili le
monete richieste, si apre la porta, entri, la porta ti si chiude alle spalle in automatico, fai quello che devi fare e poi esci rinfrancato. E quando esci sussulti al rumore dello sciacquone globale e pensi: meno male che non sono rimasto dentro! Perché appena si chiude la porta metallica, come la porta dell’ascensore, scatta il sistema di auto pulizia, non solo della tazza del cesso ma di tutto l’interno del gabbiotto. 

Mi sono ritrovato per la prima volta all’interno di un moderno vespasiano parigino durante la gita di quinto anno, il mio ultimo anno al Liceo scientifico “Leonardo” di Agrigento. Correva l’anno scolastico 1985-1986. Frequentavo, allora, l’indirizzo sperimentale artistico (per l’aneddotica, è stata la seconda e ultima classe di sperimentale a indirizzo artistico al “Leonardo”).


All’ingresso della cattedrale di Notre Dame
Stiamo parlando di trent’anni fa. Io avevo la bellezza di diciotto anni e portavo una sottile striscia di barbetta che mi attraversava tutto il viso da orecchio a orecchio (sotto il mento e non sulla fronte).
L’episodio è storico. È stato non solo il mio primo bisogno all’interno di un moderno vespasiano pubblico stradale in metallo a pagamento, ma anche il mio primo viaggio in aereo e la prima volta che mettevo piede (entrambi) in Francia. Ancora sento la cacherella. E forse a causa di quella cacherella non ho fatto altro che entrare in ogni tipo di wc moderno o anche antico. Per me non aveva e non ha importanza la datazione al carbone 14. Tutti i bagni sono uguali quando sei scosso dal bisogno, dal bisognone e dal bisognino. 
La cosa più importante, una volta entrato nel vespasiano parigino a pagamento, è stato centrare l’obiettivo. E, centrato l’obiettivo, nel primo vespasiano moderno, mi sono lavato le mani e bagnato i capelli (con l’acqua corrente parigina). Pettinandomi con le dita i capelli nel mini specchio interno in dotazione al vespasiano moderno, mi si è accesa la lampadina.
Ecco la geniale idea!
Perché non provare l’autoscatto speculare con la macchina fotografica compatta di colore giallo da poco vinta a un concorso grafico? 
Così ho fatto. 
Ho scattato la foto.

Place du Tertre, la piazza degli artisti di Montmartre
Il risultato non l’ho avuto subito. Per avere in mano l’immagine, ho dovuto attendere più di due settimane. Giusto il tempo della conclusione della permanenza a Parigi, del ritorno incolume in aereo a Palermo, dell’arrivo in bus ad Agrigento, della ricerca di uno studio fotografico, dello sviluppo del vecchio e decrepito rullino. 
Che sorpresa quando ho visto tra le mie mani l’esperimento riuscito. A distanza di 30 anni ho ritrovato il cimelio smarrito e mi sono accorto del suo valore, affettivo soprattutto. E poi storico. Allora era un semplice scatto sulla propria persona fatto con le proprie medesime mani, senza alcun ausilio di mirino oculare. Uno scatto al buio: o la va o la spacca! Oggi si chiama selfie, con la foto che vedi mentre la scatti, con l’immagine che ti si impressiona all’istante sulla memoria della macchina fotografica digitale o sullo smartphone e all’istante condividi con gli amici e col mondo tramite i social.
Io condivido oggi il mio primo storico primordiale selfie a distanza di trent’anni. Con la mia memoria, innanzitutto, che ricorda bene quel momento più della visita alla Tour Eiffel, al Museo del Louvre, alla piazzetta degli artisti di Montmartre, alla discoteca La Scala. Poi lo vorrei condividere con gli amici e i vecchi compagni di scuola che hanno vissuto con me, nella vita reale, quegli incontenibili momenti vespasianici.
Un selfie di trent’anni: non è male. È di per sé un record.

Raimondo Moncada 

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