Ho commesso una follia. Lo ammetto: ho spento internet e ho raggiunto Antonio Ligabue, a Palermo. Proprio lui, quello che parlava agli animali, quello che si vestiva da donna per avere quell’amore che la vita gli aveva negato, quello che fu messo in una scuola per ragazzi deficienti, quello che entrava e usciva dai manicomi, quello che visse in solitaria miseria, quello che veniva preso in giro, quello che prendeva una tavola di compensato e la trasformava in tela per dipingere visioni capolavoro.
Ho visto più e più volte i quadri di Ligabue, i suoi autoritratti, i suoi animali, in foto. Ho provato sempre ammirazione e curiosità per un uomo misterioso che aveva pure difficoltà a relazionarsi con le persone e a esprimersi in parole.
Per un giorno sono stato Ligabue. Dopo aver letto la notizia di una sua mostra, ho preso la macchina, ho macinato chilometri pensando all’arte e alla follia per quasi due ore, ho raggiunto Palermo e mi sono diretto a Palazzo Reale per la reale esposizione dedicata al grandissimo artista Antonio Ligabue dal titolo “Tormenti e incanti” (è stata inaugurata il 19 marzo e resterà aperta fino al 31 agosto: sregolata gratitudine agli organizzatori!).
A Palermo, con i tuoi piedi, con gli occhi, con la testa, con il cuore, entri nelle Sale del Duca di Montalto e ti accorgi che non è la stessa cosa di stare su Google Immagini, Facebook, Twitter, Linkedin, YouTube. A Palazzo Reale fai una esperienza reale e multisensoriale. Una autentica follia di questi tempi in cui il virtuale pare abbia conquistato le nostre vite quotidiane. E ci viene difficile pure staccarci dagli smartphone. Iperconnessi in una irrealtà che facciamo diventare vera.
A Palazzo Reale ti attendono oltre ottanta quadri e li guardi e li ammiri e ti commuovi. A ognuno dedichi il tempo necessario, da lontano, da vicino. Quel tratto, quella pennellata, quel particolare, quel colore, quella sfumatura, quella luce… niente di tutto questo c’è nelle foto dei libri o nelle immagini a bassa risoluzione di internet.
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