La follia di unirsi alla pazzia di un “matto”

Ho commesso una follia. Lo ammetto: ho spento internet e ho raggiunto Antonio Ligabue, a Palermo. Proprio lui, quello che parlava agli animali, quello che si vestiva da donna per avere quell’amore che la vita gli aveva negato, quello che fu messo in una scuola per ragazzi deficienti, quello che entrava e usciva dai manicomi, quello che visse in solitaria miseria, quello che veniva preso in giro, quello che prendeva una tavola di compensato e la trasformava in tela per dipingere visioni capolavoro. 

I suoi quadri mi hanno colpito fin da piccolissimo. Ho conosciuto la sua arte attraverso le immagini di una monografia trovata nella libreria di mio padre Gildo, anche lui grafico e pittore. E ho conosciuto la sua disgraziata esistenza attraverso lo sceneggiato interpretato da un magnifico Flavio Bucci trasmesso dalla Rai quando avevo dieci anni. Da allora ho sempre pensato a quest’uomo, a Ligabue, a questo artista deriso e poi consacrato per la Sua Arte originale, fuori da ogni canone. E ho riflettuto sul senso del fare arte e sulla follia. 
Chissà se un giorno, mi sono detto bambino, riuscirò a vedere da vicino le sue opere? 
Quel giorno è arrivato. Dopo quasi quarant’anni. 

Ho visto più e più volte i quadri di Ligabue, i suoi autoritratti, i suoi animali, in foto. Ho provato sempre ammirazione e curiosità per un uomo misterioso che aveva pure difficoltà a relazionarsi con le persone e a esprimersi in parole. 

Una mostra vera, con i quadri veri, con un pubblico vero e interessato che condivide in silenzio la tua stessa meraviglia, non è però la stessa cosa delle piatte immagini viste sui libri, su internet. 

Per un giorno sono stato Ligabue. Dopo aver letto la notizia di una sua mostra, ho preso la macchina, ho macinato chilometri pensando all’arte e alla follia per quasi due ore, ho raggiunto Palermo e mi sono diretto a Palazzo Reale per la reale esposizione dedicata al grandissimo artista Antonio Ligabue dal titolo “Tormenti e incanti” (è stata inaugurata il 19 marzo e resterà aperta fino al 31 agosto: sregolata gratitudine agli organizzatori!). 

Un folle! Parlo di me. Ho lasciato tutto per raggiungere l’artista amato nei primi anni della mia vita. 
Chi ama l’arte deve compiere questa pazzia. Anche per il teatro è così. Le immagini lo sminuiscono. Non rendono per niente. 

A Palermo, con i tuoi piedi, con gli occhi, con la testa, con il cuore, entri nelle Sale del Duca di Montalto e ti accorgi che non è la stessa cosa di stare su Google Immagini, Facebook, Twitter, Linkedin, YouTube. A Palazzo Reale fai una esperienza reale e multisensoriale. Una autentica follia di questi tempi in cui il virtuale pare abbia conquistato le nostre vite quotidiane. E ci viene difficile pure staccarci dagli smartphone. Iperconnessi in una irrealtà che facciamo diventare vera. 

A Palazzo Reale ti attendono oltre ottanta quadri e li guardi e li ammiri e ti commuovi. A ognuno dedichi il tempo necessario, da lontano, da vicino. Quel tratto, quella pennellata, quel particolare, quel colore, quella sfumatura, quella luce… niente di tutto questo c’è nelle foto dei libri o nelle immagini a bassa risoluzione di internet. 

A Palazzo Reale il tuo Ligabue rivive nelle sue opere reali. E c’è tutto il tormento e l’incanto di un artista che solo negli ultimi anni venne riconosciuto come tale. Dopo la sua morte ancor di più. Ci fu la consacrazione definitiva e si avverò la sua profezia: “Io sono un grande artista, la gente non mi comprende, ma un giorno i miei quadri costeranno un sacco di soldi, e allora tutti capiranno chi veramente era Antonio Ligabue”. 
A Palazzo Reale, ho sentito la Sua Voce, realmente. 
Raimondo Moncada 
www.raimondomoncada.blogspot.it 

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