Vivere l’esperienza di pre-morte virtuale

Pur restando in vita possiamo morire. E, pur restando sempre in vita, possiamo essere pianti per morti, da familiari, amici e conoscenti. Succede con la morte digitale. 

Se sei ogni giorno vivo e presente su un social, con riflessioni, scherzi, interazioni con i tuoi contatti a qualsiasi ora del giorno… insomma, se in ogni momento della giornata fai sentire il tuo fiato, mancare di colpo senza preavviso è come non avere più vitale respiro. E scateni reazioni a catena come quando perdi d’improvviso le tracce di un bambino in spiaggia o di un sub al mare. Prima ti preoccupi, ti chiedi dove possano essere andati, poi cominci a provare un sentimento di angoscia, quindi metti in campo ogni utile azione per cercare il disperso. 
“Perché Raimondo non scrive più su Facebook? Perché è assente da due ore… dieci ore… ventiquattro ore… un giorno… due giorni? Ora è troppo! Sarà successo qualcosa”. 
Ti poni mille domande. Non pensi ad altro che al male: “Gli sarà successo qualcosa di grave! Non è possibile! È da quarantacinque ore che non dà segni di vita”. 
Ritornando agli esempi di prima, non è contemplabile la possibilità che la bambina si sia allontanata dall’ombrellone dei genitori per andare a giocare con una compagna di asilo vista in lontananza o che il sub si sia fermato a contemplare il paradiso di una grotta sotterranea. 
Il social è diventato come la vita. Se ti vedo, sei vivo; se non ti vedo, sarà successo qualcosa di inspiegabile o di irreparabile. Perché il social ti dà un corpo e un’anima. Ti dà un’identità che può corrispondere come non corrispondere con quella reale. Nella vita reale, infatti, puoi essere un musone solitario, mentre nella dimensione digitale puoi apparire come un modello di simpatia; così come nella vita reale puoi essere un delinquente mentre nella sfera social un santo. 

In questi giorni di silenzioso agosto ho deciso di mettermi in vacanza per un po’ dai diversi mondi social frequentati da anni per svago, per babbio, per esercizio, per confronto, per ridurre le distanze ecc. Non è stato facile resistere alla tentazione di accedere a Facebook o a Instagram, resistere alla tentazione di pubblicare un pensiero o una fotografia o un link, di rispondere alla sollecitazione di un amico o di un’amica. Il digiuno digitale, a tempo determinato, è stata una scelta premeditata. È un’esperienza da fare di tanto in tanto per le innegabili conseguenze benefiche sulla psiche e sul corpo (reali). Staccare per un po’ è come andare in ritiro spirituale: ti rigeneri, per poi rientrare in vita più vivo che mai. 

Bisogna però tener presente l’effetto collaterale di tale scelta radicale che non tutti comprendono. L’assenza momentanea dal social può essere vissuta come un’esperienza di pre-morte digitale: non essendoci, non esisti. 
Pur non accedendo ai social, ho sentito dentro di me le voci preoccupate degli amici: “Ma Raimondo? Dov’è? Sei fuggito? Stai male? Stai bene? Stai così così? Se ci sei batti un colpo? Se non ci sei battine due?” 
E così di questo passo. 
La preoccupazione nasce dalla mancanza di preavviso. Non ho avvertito nessuno del mio momentaneo ritiro. Avrei dovuto scrivere un post pubblico: “Da giorno 19 agosto siamo in ferie. Il negozio riaprirà il 21 dopo l’alba, al risveglio. Non bussate, perché non vi sarà aperto. Non chiamate, perché non vi sarà risposto”.
Mi chiedo: non averlo fatto sarà stato segno di mancanza di rispetto? di maleducazione?
Il social ha ristretto così i confini tra pubblico e privato che ci sentiamo tutti strettamente legati. Una deviazione alla routine non è consentita. Devi essere informato su tutto quello che succede, su tutto quello che fanno gli amici che segui con estremo piacere. 
Non puoi permetterti, dunque, di staccare un giorno che subito si accendono le sirene e partono le ambulanze. Da un lato, diciamocelo, ti fa un enorme piacere sapere che non sei solo in questo mondo, che ci sono persone in carne, cuore e ossa che stanno in pensiero, che si preoccupano di te e della tua salute: ti dimostrano di tenere molto a te e o a quello che di te su Facebook rappresenti. Dall’altro lato ti dimostra che la vita social è ormai una realtà che sta superando o ha superato la realtà fisica e non puoi permetterti di assentarti oltre un certo limite di tempo. Faresti vivere alla tua corporeità virtuale l’esperienza dell’assenza angosciante o della morte, con le conseguenze del caso uguali a quelle della vita reale. 
Alla morte corporale, comunque, non c’è rimedio. A quella virtuale sì. Da morto digitale puoi sempre resuscitare e vivere pure una nuova vita, diversa dalla prima, con una nuova identità e nuove idee. 
Grazie di cuore a quanti mi hanno pensato: sono ancora vivo, nella vita reale e in quella virtuale. Questa pagina di diario intimo-personale ne è la dimostrazione lampante anche se qualcuno potrebbe a questo punto obiettare: ma lo ha scritto il Raimondo Moncada con cui finora ho interagito o un’altra entità che si spaccia per Raimondo Moncada? E in quest’ultimo caso, il vero Raimondo Moncada dov’è?
Raimondo Moncada
www.raimondomoncada.blogspot.it 

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