Ad Agrigento c’è un altro teatro da scoprire

teatro di taormina
Il palcoscenico del teatro di Taormina


















La speranza di un nuovo antico teatro ha risvegliato a festa Agrigento, dimentica però di un nuovo moderno teatro rimasto sempre nuovo e moderno ma mai utilizzato.
Misteri di un tempo che fu e di un tempo che è, tra Akragas, Agrigentum, Kerkent, Girgenti, Agrigento e chissà quale altra denominazione.
Da un lato, o meglio a valle della città, c’è una cavea che vibra sottoterra e spinge per prendere aria, per riscaldare la propria anima arenaria al siculo sole e rivivere. Dall’altro lato, o meglio in cima alla città ferita, c’è una cavea sopra terra, sola e già assolata, che agogna d’essere scoperta e finalmente vivere di teatrale dignità.
Nel primo caso, ci riferiamo al teatro antico, che sarebbe stato scoperto nella collina che guarda i dolci templi greci e il mare aspro africano e per il quale in pompa magna è iniziata la campagna di scavi. Nel secondo caso ci riferiamo, invece, al teatro costruito nel Parco Icori e non degnato al momento di pompe magne attenzioni, e non da ora ma dalla sua fondazione avvenuta non in periodo a.C. (avanti Cristo) ma in periodo successivo, più vicino a noi viventi. Trattasi di cavea in cemento armato, ben fatta, ricavata nella roccia tufacea a trattenere in basso il quartiere dell’antico Rabato venuto giù come sabbia nella frana di cinquant’anni fa (Era il 1966, un anno prima della mia nascita e nell’anno, dunque, del mio glorioso concepimento: dolore e gioia si sono legati. Quante coincidenze! Il Rabato è il luogo dove sono nati e cresciuti mio padre, i miei nonni, i miei bisnonni, i miei trisnonni, zii, prozii e cugini. In questa terra è, insomma, ci sono le radici del mio albero genealogico).

Teatro Icori di Agrigento
Il palcoscenico del teatro Icori















Dopo la frana, altri eventi: lo spopolamento delle vecchie case, il trasferimento dei residenti in altre dimensioni, i lavori per il consolidamento e la rinascita del sito con la realizzazione di un parco, di verde, di spazi per far giocare i bambini, di percorsi per far passeggiare le famiglie, di “agnuniate” per far abbracciare gli innamorati, di un grande teatro dove emozionare gli spettatori già con un belvedere che da solo è uno spettacolo.

La cavea, prendendo a prestito il toponimo del quartiere, è diventata col tempo “addolorata”. Il motivo è il senso di perenne abbandono: costruita e non più considerata. Non ho traccia nella memoria di manifestazioni e di gente seduta sui grigi gradoni (vista l’età non più giovane, potrei anche ricordare male). Gli unici spettatori di cui ho tangibile certezza sono i fantasmi dei miei avi. Ne ho avvertito la plaudente presenza il 12 settembre 2012, quando ci ho messo piede (le impronte lasciate ne sono viva testimonianza. Calzo il numero 42 di scarpa: si può verificare sul campo con una campagna di ricerca). 
Di “addolorata” però non si parla. C’è da sempre un’opera di rimozione (anche di rifiuti, visto che qualcuno utilizza  un’area esterna anche come discarica). 
In questi giorni si parla, invece, tantissimo del teatro antico, di quello che potrebbe rappresentare una volta recuperata all’umana visione la sua grandiosità (speriamo che la campagna di scavi iniziata ieri lo faccia emergere: io sto con gli archeologi, con gli studiosi che da tempo sono sulle sue tracce: tifo per il mio teatro d’Akragas. Ho fiducia!).

Proiettiamoci adesso, con un esercizio di immaginazione in avanti nel tempo, a scavi ultimati. Proviamo a rappresentarci nella mente, in una visione idilliaca, quello che sarà il day after. Diamo, dunque, per scontato che tutto vada come auspicato.  
Come sarà questo teatro? Somiglierà a quello di Taormina? Ne avrà di quello di Selinunte? Si avvicinerà a quello di Eraclea Minoa? Che nome avrà? E soprattutto: cosa diventerà? Sarà semplicemente luogo di visita turistica, monumento per riempire gli occhi di meraviglia come per i templi dorici? Oppure sarà utilizzato anche per gli scopi originari e cioè per rappresentazioni di tragedie e commedie e, perché no, pure per classico cabaret?

Dopo cotanta riflessione e fuga in avanti, prendiamo per i capelli l’immaginazione e fermiamoci un attimo. Anzi più di un attimo. Prima che tutto diventi concretezza, prima che il teatro antico riviva nel suo splendore, facciamo un passo indietro e non più d’immaginazione. Scaviamo questa volta dentro la nostra coscienza di agrigentini e troviamo gli strumenti necessari per recuperare il teatro moderno, per renderlo agibile, per aprirlo alla libera fruizione, per riempirlo di eventi, per affiancare ai fantasmi altri spettatori veri da far accomodare nei millecinquecento posti a sedere.  
Trasformiamo la cavea “addolorata” in un allegro e vivo teatro come è accaduto al teatro dedicato alla memoria di “Luigi Pirandello”: prima esaltato, poi abbandonato, quindi restaurato e restituito a nuova vita.
L’euforia per il teatro antico non ci faccia dimenticare l’esistenza del teatro moderno. Accendiamo dunque i fari pure sul parco Icori. Facciamo riemergere la sua cavea dal dimenticatoio. Riportiamo così la vita nel quartiere dei miei avi in attesa da mezzo secolo di applaudire il primo spettacolo dal vivo. 

Raimondo Moncada
  
P.S. IL VIDEO DEI FANTASMI PLAUDENTI

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