Parlare in siciliano, scudo contro la demenza

Da una vita sono stato uno scienziato, ma non lo sapevo. Da vero scienziato ho per anni attuato – sia pure inconsapevolmente – quello che adesso le più sofisticate ricerche sul cervello suggeriscono a tutti di praticare, anche nell’espressione linguistica.

Ora lo so che ho fatto bene a parlare più lingue nei miei primi cinquant’anni (mancano poche settimane). Parlando il siciliano e l’italiano, o l’italiano e il siciliano, mi sono costruito senza saperlo uno scudo alla Goldrake . E non lo dico io che da una vita parlo e scrivo in italiano e siciliano, confondendo pure le due lingue, ma lo afferma e riafferma la scienza, quella di ultima generazione. Ed è bellissimo prenderne atto e con orgogliosa soddisfazione. Perché ai tempi della mia scuola sono stato rimproverato perché mi esprimevo anche in siciliano o in un italiano tutto mio, arricchito da termini, espressioni tipiche della mia lingua madre spesse volte intraducibili nella stupenda lingua nazionale. In definitiva parlavo tre lingue: il siciliano, l’italiano e l’italiano-siciliano. Ora una nuova ricerca scientifica dà ragione allo studente trilingue che sono stato e dà torto a quei docenti che inibiscono l’uso della lingua della propria terra.

Leggo sul Corriere della Sera di uno studio tutto italiano coordinato da Daniela Perani, direttrice dell’Unità di Neuroimaging molecolare e strutturale in vivo nell’uomo dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e docente all’Università Vita-Salute San Raffaele. Lo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, è stato condotto su 85 pazienti affetti da demenza di Alzheimer, metà monolingui e metà bilingui.

Le persone che parlano abitualmente due lingue – è la conclusione – sono più protette dalla demenza senile causata dal morbo di Alzheimer. Questa terribile  malattia, che distrugge un essere umano, nei bilingui si manifesta più tardi rispetto a chi si esprime con una sola lingua (anche cinque anni più tardi) e con sintomi più attutiti. Secondo i ricercatori – così come riportato dal Corriere –, il bilinguismo costituisce una “riserva cognitiva” (che si acquisisce con una vita intellettualmente attiva e stimolante) che funziona da difesa contro l’avanzare della demenza e non solo. La persona bilingue, viene specificato, è capace di compensare meglio gli effetti neurodegenerativi della malattia di Alzheimer, presa in considerazione nello studio. Si osserva che più le due lingue sono utilizzate e migliori saranno gli effetti sul cervello e sulle performance.

Esempio di libro trilingue
“Il punto – afferma Daniela Perani – non è quindi conoscere due lingue, ma usarle costantemente in maniera attiva e durante tutto l’arco della vita. Questo dovrebbe suggerire alle politiche sociali degli interventi atti a promuovere e mantenere l’uso delle lingue e altrettanto dei dialetti nella popolazione”.
Daniela Perani evidenzia dunque un aspetto che forse in altri studi non è stato abbastanza sottolineato con tutti gli evidenziatori in commercio: “Essere bilingui non significa necessariamente parlare italiano e inglese o italiano e tedesco, ma anche italiano e dialetto della zona di provenienza. Per questo sarebbe importante attuare iniziative di difesa delle ‘parlate’ regionali, che invece si perdono”. 

Parlando e scrivendo nelle mie tre lingue mi mantengo sempre giovane e irrobustisco ogni giorno lo scudo contro le degenerazioni della vecchiaia (Chi nicchi e nacchi è un chiarissimo esempio di libro trilingue: prefazione e postfazione in italiano, cunti e canti in siciliano e siciliano-italiano) .  

Evviva la scienza! Evviva gli scienziati! Evviva il plurilinguismo! Evviva la mia madre lingua (il siciliano) e la mia seconda lingua (l’italiano)!


 Raimondo Moncada

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