In festa col “Mandorlo in Fiore”, ma non è più la mia “Sagra”

Inizia la “Sagra”, ma non è più la mia “Sagra”. Parlo di anagrafica. Solo di anagrafica, ma di quella affettiva.

Da quest’anno la “Sagra” è solo “Mandorlo in fiore”. Così leggo sul depliant ufficiale della festa del folclore internazionale di Agrigento che ho tra le mani, nelle sue dieci facciate.

Ne avevo sentito parlare qualche settimana addietro, ma non ci credevo, non ci volevo credere. Ora debbo ricredermi e, dunque, crederci. È scritto nero su bianco, con inchiostro indelebile: “Settantesimo Mandorlo in fiore: Agrigento, 4-12 marzo 2017”.  

Fatemelo comunque dire, ugualmente: “Non ci posso credere!”, nel senso che per me, ormai giovane-vecchio, risulta difficile accettare tale inattesa e improvvisa scelta. 

Per me rimarrà sempre “Sagra”. E dentro di me la “Sagra” non cambierà mai. Parlandone pure lontano da Agrigento, ho esaltato la festa invitando tutti ad andare a vedere la “Sagra” di Agrigento. 

La “Sagra” l”ho vissuta nel doppio ruolo: da spettatore e da protagonista, quando, ventenne, ho cominciato a ballare (ero molto scarso) e poi a cantare (già me la cavavo meglio) o a soffiare nel “bummulo” con i gruppi folkloristici “La Vallata” di Totò Vita prima e “Gergent” poi, diretto dal compianto Claudio Criscenzo che ricordo sempre con grande emozione (che esperienze!). 
Fin dalla mia nascita, avvenuta per la cronaca alle idi di marzo di cinquant’anni fa in quel di Girgenti (il mio cinquantesimo anniversario scoccherà al termine della festa), la “Sagra del Mandorlo in Fiore” è sempre stata affettuosamente chiamata dagli agrigentini (sono uno di loro) con il diminutivo “Sagra”, così come la festa di “San Calogero” si chiama “San Calò” (“chi facemu? Amunì a San Calò!”).
Rivoluzionando ora tutto, e chiamando la “Sagra” solo “Mandorlo in fiore”, la mia memoria, il mio vocabolario mentale, il mio stato d’animo, si sentono frastornati. 
Nel sommovimento interiore mi sovvengono tante domande e mi chiedo pure: ma per caso, e ripeto per caso, mi debbo macari aspettare che pure la festa del santo nero tanto venerato dagli agrigentini muti la sua antica e radicata denominazione? Mi spiego meglio: c’è il rischio che la festa di “San Calò” venga, con un taglio, ribattezzata con un’unica parola e cioè “Calò”, senza santo senza festa senza niente (“Chi facemu? Amunì ne Calò!”)?

Sono un agrigentino confuso.

Per la mia salute, chiedo pertanto – se è possibile tornare un passettino indietro – il ripristino dell’originario appellativo “Sagra”: bello, sintetico, dignitoso, identitario e segno di appartenenza a una ormai storica tradizione. 

E, comunque, al di là dei nomi e dello sfogo, lasciamo per un attimo l’annebbiamento nostalgico e guardiamo ai contenuti, all’anima, ai significati, agli appuntamenti (sono tanti e di valore, complimenti agli organizzatori). Invito tutti a partecipare a un evento che anche quest’anno rivive ad Agrigento e nella sua infiorata e profumata e magica e mitica Valle dei Templi con il rinnovo dell’amicizia tra popoli di tutto il modo. 
Evviva la “Sagra del…” no, volevo dire: Evviva il “Mandorlo in fiore!”. 
Mi debbo abituare. Ma è così difficile. Mi sforzerò. Prometto. 

Raimondo Moncada

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