Panico da morte virtuale

Internet ti dà e ti toglie la vita. Nel senso che ti uccide, con la sua assenza. Uccide la tua attuale modalità di esistenza, quella creata sul WWW (World Wide Web). Una vita virtuale, ma pur sempre vita. 
Senza Internet si muore. Uno stacco ed ecco ritrovarti sconnesso da tutto: amici, attività, notizie… Ti fermi tu e si ferma il sistema che abbiamo creato attorno a uno spazio in cui viviamo in simbiosi col nostro avatar. 
Oggi, in Sicilia, si è vissuto il panico da morte virtuale. A un certo punto della mattinata i computer ci hanno abbandonato a noi stessi. Così come ipad, smartphone e orologi intelligenti. Non davano più segni di vita. Non ci hanno potuto neanche la respirazione bocca a bocca, gli elettroshock e le dure pareti contro cui qualcuno ha scagliato questi nuovi strumenti di collegamento di massa. 
Impossibile connettersi. Impossibile comunicare. Impossibile accedere a un sito di informazione, almeno per capire. Impossibile per tutti: privati, famiglie, aziende, istituzioni. Abituati a muoversi col navigatore internettizzato in strade sconosciute e che mai si conosceranno, c’è chi ha lanciato SOS da Palermo con le mani nei capelli e non più sugli inutili volanti: “Aiuto, non so dove andare!”
Cinque, dieci, quindici, trenta minuti… senza segnale internet. Minuti che col passare vano del tempo sono diventati ore, giorni, mesi, anni. Un’eternità riempita da infiniti pensieri e timori: che sta succedendo? 
Poi le prime telefonate, all’antica, a congiunti, amici, conoscenti, sparsi in diversi punti della Sicilia:
“A te funziona internet?”
“No!”
Telefonate che hanno alimentato inquietudini, in adulti e meno adulti (sereni gli anziani, refrattari alle nuove tecnologie e alla contaminazione informatica).
Un’isola isolata, tagliata fuori dal mondo, collegata solo dai sistemi nervosi di una popolazione impotente, impegnata per ore e ore a provare e a riprovare, compulsivamente, ad avere accesso alla vita online.
Una zona d’ombra si è allungata pericolosamente, con i pensieri sempre più neri in un periodo oscuro in cui hacker senza scrupoli entrano ovunque, pure nel naso per sabotare e rubarti i più segreti peli.
Isolamento causato da forze malefiche? Il preludio di un’aggressione, di un attacco cibernetico? 
Dopo quasi un’ora di buio, ecco di nuovo la luce. Il computer ti riapre la porta alla nuova vita. Il primo pensiero: verificare quanto accaduto. La prima notizia la trovo su “Blog Sicilia”. Leggo di un “grave black-out informatico” che ha colpito la mia terra: “Un guasto al nodo di rete avrebbe mandato in tilt tutte le connessioni adsl e fibra siciliane” di un importante operatore telefonico. L’assenza di rete, viene sottolineato, ha creato notevoli disagi anche industriali e alla produttività di numerosissime aziende. 
Dopo la ripresa del segnale, di nuovo una brusca ricaduta. Di nuovo tutto bloccato, per non so quanto tempo. Di nuovo senza vita, senza la possibilità di prelevare da una banca il contante necessario per fare la spesa di inizio settimana. 
A dieta, a panico e acqua! 

Quasi tutto è ormai basato sulle reti internet. Anche le zappe dei tradizionali contadini, fra non molto si dovranno adeguare a questo inarrestabile andazzo (connessione che consentirà di sapere all’istante quante zappate ai piedi ci diamo e dove). 
Per oggi, dunque, non si mangia, non si lavora. Si può solo pensare o fare l’amore o fare una passeggiata. Tutto con estrema pacatezza, senza fretta, anzi rilassandosi, rallentando il respiro per come ci insegnano i maestri di meditazione dalle loro remote e sconnesse grotte tibetane, ritrovando nell’assenza di ogni attività virtuale il senso profondo della vita reale, onorando in tal modo il calendario e la data in cui si celebra la Giornata della Lentezza. 
Raimondo Moncada 

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