Un giorno la tecnologia farà rivivere le foto d’epoca, le foto dei tuoi genitori quando si sono sposati, le foto dei tuoi nonni… Oggi non è ancora possibile. Ma questa possibilità è da sempre in nostro potere. L’immaginazione umana è più potente della tecnologia. Rende reale ciò che reale non è più, gli dà rilievo, gli dà carne, gli dà anima, gli dà voce, gli dà odore, gli dà respiro, gli dà vita. E non sei al cinema. Non è finzione. Perché lo rivivi veramente, lo partecipi con tutto te stesso, con tutti i tuoi sensi e ti emozioni.
L’ho provato. E ne do testimonianza a distanza di qualche giorno dal mio viaggio nella memoria a Perugia, su richiesta del direttore di Malgrado Tutto Egidio Terrana. Un viaggio che mi sta portando in giro per l’Italia, e oltre, per raccontare la storia di mio padre, per presentare il libro a lui dedicato: Il partigiano bambino.
L’Umbria era una tappa obbligata. Ci sono arrivato dopo diciotto presentazioni, dallo scorso anno, dal marzo 2017, mese di pubblicazione del libro. Merito ancora di Gaetano Alessi e del gruppo editoriale di Ad Est, e di chi in Umbria mi ha voluto accogliere, organizzando due momenti di incontro nel giorno del ricordo della medaglia d’oro al valor della Resistenza Mario Grecchi, a Perugia e a Bastia Umbra: il comitato provinciale dell’Anpi (con la sua presidente Mari Franceschini e il professore Francesco Berrettini), il Circolo di Cultura Primo Maggio e l’Anpi Valle Umbra (con i rispettivi presidenti Luigino Ciotti ed Ettore Anselmo).
Perugia. Ritrovarsi nella città dove mio nonno Raimondo sperò di portare in salvo la famiglia dalla guerra, che gli stava per arrivare sotto casa, in Sicilia, ad Agrigento, con lo sbarco degli angloamericani nel luglio del 1943.
Perugia. Conoscere i miei cugini, Moncada, figli dei figli di mio zio Francesco, che vengono alle presentazioni per abbracciarmi e ascoltarmi, per ascoltare l’origine della loro storia.
Perugia. Ritrovarsi negli stessi luoghi delle foto che ritraggono per la prima volta mio padre, sedicenne, con la divisa di partigiano della brigata “Leoni” nei giorni della liberazione della città.
Un bambino, lui, all’epoca. E un bambino, io, che all’età di 51 anni cerca e raggiunge quei luoghi, esattamente quei luoghi e nello stesso punto. Chiedo a chiunque, con le fotografie dell’epoca a portata di mano, digitalizzate e conservate nella memoria dello smartphone che tengo come una bussola.
“Dove si trova questo edificio? Dovremmo essere in Corso Vannucci… nel luogo attraversato dal corteo dei liberatori di Perugia nel giugno del 1944. In quel corteo c’era mio padre, glielo faccio vedere… E quest’ingresso? Questa porta, con le bandiere sventolanti degli Stati Uniti d’America, dell’Inghilterra e dell’Italia? È l’albergo Brufani, allora sede di un comando fascista. Subito dopo la liberazione, mio padre è lì, fotografato, sorridente, perché quella foto l’avrebbe inviata ai familiari per dirgli di non preoccuparsi, che stava combattendo per la sua e nostra Patria, che era ancora vivo”.
Come un bambino, raggiungo quei posti fissati per mezzo secolo nella memoria. E, come se fosse una conquista da marcare, da non dimenticare più, mi faccio fotografare con il libro in mano, lo stesso libro in cui racconto la storia del partigiano Gildo, in cui c’è la rievocazione di quei giorni perugini nel racconto che lui stesso ne fa in una rara intervista concessa a Tv Europa in occasione di un 25 aprile dei primi anni Novanta.
Quel bambino, il figlio di quel partigiano bambino, a Perugia si sente come sospeso nel tempo, tra presente e passato. Ho pensato a come doveva essere. A cosa ha significato per un ragazzino fare quella scelta. Quali sentimenti lo animavano e lo spingevano ad andare avanti contro un nemico che sembrava invincibile.
Nella mia memoria ricostruisco quelle fasi, metto assieme i luoghi del suo racconto e lo vivo, attraversando Corso Vannucci, sostando davanti al lussuoso Hotel Brufani e nel cantiere aperto nel palazzo che ospita il Teatro del Pavone dove nel settembre del 1944 mio padre si ritrovò seduto accanto al generale Harold Alexander, comandante delle Forze Alleate. Quel bambino, diventato troppo presto adulto, non è più sorridente. È con le stampelle e senza una gamba, mutilato, ferito durante un’azione a Sansepolcro, in provincia di Arezzo. Territorio, poi, che al rientro attraverso in macchina con l’immaginazione in fermento che mi costringe a seguire mio padre nel luglio del 1944, nel giorno del suo ferimento.
È una storia ancora viva. Parole che non sono semplici parole, luoghi che non sono semplici luoghi, ma spunti per viaggiare nel tempo, come viaggiava lui nel tempo, sempre, ogni volta che ritornava a Perugia ospite del fratello Francesco, mio zio. Faceva sempre il giro dei suoi luoghi, rendendo omaggio ai suoi amici, ai suoi compagni morti e alla tomba-monumento, al cimitero di Perugia, del suo giovanissimo comandante di brigata Mario Grecchi a cui, a nome suo, ho lasciato un mazzo di fiori.
Raimondo Moncada
www.raimondomoncada.blogspot.it
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