Quel gesto della mano per tenere vivo un sogno


Quel gesto della mano, la destra, ferita a Sansepolcro, che ripeteva e ripeteva ossessivamente.

Come spiegare l’escalation di emozioni, oggi, al liceo “Linares”, nell’incontro che in aula magna ha concluso il progetto lettura dell’istituto dedicato al libro Il partigiano bambino e alla storia di mio padre, Gildo Moncada, se non con quel gesto della mano frantumata a Sansepolcro, nell’ultima sua azione partigiana, come il resto del suo corpo, che lui ripeteva e ripeteva quando il fervore artistico lo possedeva e lo portava a preparare le sue nuove mostre di pittura e di grafica. 

Ecco… quel gesto, lo stesso gesto, con quel movimento circolare delle dita della mano destra con cui cercava di non far morire il sogno di vivere d’arte, ha concluso la mattinata di oggi al liceo “Linares” che ha visto sul palco dell’aula

magna uno studente impersonare mio padre, con tavolozze, pennelli, tubetti di colori, ripetere quell’esercizio e quel rituale raccontato nel libro e a cui ha dato voce una compagna di classe. 


Due ore dense e intense su quel palco, studente tra gli studenti, commosso, a rispondere alle domande di tanti ragazzi, alcune volte più grandi di me, a riflettere assieme, e a rimanere io a bocca aperta per le continue sorprese che mi hanno riempito di umanità e di speranza. 

Il libro ha avuto uno studio, un approfondimento, una riflessione sulla seconda guerra mondiale, sulla Resistenza, sui valori della conseguente nuova Costituzione, sull’essere oggi cittadini del mondo. E il libro è stato creativamente lo spunto per una riscrittura di quel periodo – solo in apparenza distante – con gli studenti di cinque classi degli indirizzi Classico, Scientifico e Scienze Umane del “Linares” a musicare e cantare poesie dedicate a mio padre, recitare opere scritte per il concorso letterario “Una storia partigiana” del Comune toscano di Lastra a Signa il cui tema portante quest’anno è stato tratto dal libro. E poi ancora video, foto, letture a più voci di brani del libro e rivisitazioni critiche sulla presenza degli alleati in Sicilia e tanto altro ancora che ha avuto la sensibile conduzione di Giusi Di Franco, poetessa (ha scritto anche la lirica sul partigiano bambino, musicata e cantata da uno studente), insegnante di Lettere. Giusi mi ha accompagnato nel lungo viaggio, nelle profondità di una memoria comune aiutandomi a dare ancora voce e testimonianza a chi non c’è più. Un viaggio tra ripetute emozioni a cui ha dato il via il dirigente della scuola, Rosetta Greco che, in una introduzione molto sentita, ha parlato della Resistenza al nazifascismo come “bellissima lezione di libertà” e della Liberazione dell’Italia come un dono. 


In un’aula magna, degna di questo nome, accogliente, elegante, da poco ben ristrutturata, ha assistito a un momento di alta scuola, un pubblico variegato: rappresentanti di genitori, di club service,  di associazioni, di altre due scuole: l’Ipia Fermi e l’istituto per Geometri. 

Ho avuto testimonianza di una scuola viva, vera, stimolante, formativa, dove vivi, veri, stimolanti, formativi, creativi, appassionati, sono stati loro: gli studenti, i loro insegnanti, la dirigente e tutto l’apparato che  ho visto impegnato per la riuscita dell’iniziativa: il direttore amministrativo e i collaboratori scolastici. 

La mia infinita gratitudine a tutti, indistintamente, ai giovani studenti che mi hanno regalato la loro intelligenza, la loro curiosità, la loro cultura, il loro tempo, la loro arte, con domande, esibizioni, riflessioni, quadri, gesti, lacrime, con un libro che mi è stato restituito ridipinto con nuovi colori e sentimenti. Sono i ragazzi che frequentano la quinta e terza “A” dell’indirizzo Scienze Umane; la quarta “B” e la seconda “A” del Classico; la quarta “C” e la quarta “A” dello scientifico, seguiti da straordinarie insegnanti: Maria Rita Di Franco, Franca Bosa, Silvana Bracco, Daniela Pira, Sara Merro, Angela Mancuso. 

A Licata ho colto luci di speranza. 

Raimondo Moncada

www.raimondomoncada.blogspot.it 

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