Il coronavirus non tira più

Il coronavirus non tira più. La gente si è stancata. Non ne vuol più sapere. C’è voglia di altro. Ha il rigetto dei bollettini di guerra e di tutta questa attenzione che da mesi gli stiamo dedicando, così curiosi di sapere minuto per minuto quanti morti ha causato, quanti infettati, quanti sospetti di infezione, quanti sospetti di sospetti di infezione, quanti si potrebbero ammalare, quanti … Abbiamo preteso di sapere anche il colore dei capelli del coronavirus. Ovunque si è parlato e si parla di coronavirus e in qualsiasi ora e in qualsiasi canale e in qualsiasi luogo. 

Il coronavirus ce lo siamo portati pure a letto, facendolo dormire con noi, di nascosto da nostra moglie o da nostro marito. 

Ora basta! 

E questo appello pare sia stato accolto, pur mantenendo ogni precauzione e anche, per sì e per no, lo scafandro collegato a una bombola dell’ossigeno con un’autonomia di quattordici giorni. 

E i primi risultati cominciano a manifestarsi. 

Lo vedo dai supermercati dove ora trovi tutti i prodotti anche amuchinosi e che dopo l’assalto sono deserti perché la gente ha fatto scorta fino al 2025 e con le cassiere sole solette collegate su Facebook con i loro cellulari a pregare gli amici di andarle a trovare per ammazzare la solitudine. Lo vedi dal numero notevolmente ridotto di interazioni sui post che sui social parlano di coronavirus. Lo vedi dall’aumentata lamentela delle organizzazioni di categoria che chiedono tavoli per affrontare l’emergenza economica causata dall’emergenza virale, con turisti che disdicono le prenotazioni, con turisti che cercano su internet altre destinazioni coronavirusesenti, con pendolari che non pendolano da settimane, con pub e altri luoghi fisici di ritrovo e aggregazione che, se continua così, decideranno pure loro di andare su internet come i negozi di abbigliamento, di libri, di vini e di tutto il resto. Lo vedi dall’insistenza dei tifosi che spingono a tutti i livelli per pretendere lo stadio di Torino aperto per vedere la partita Juventus-Inter. Lo vedi dal desiderio crescente che quest’incubo finisca al più presto e che l’imminente primavera ci porti il risveglio. Lo vedi dal crescente numero di persone uscire dalle case-bunker come le lumache (i babbaluci) alle prime attese piogge. Lo vedi dai messaggi rassicuranti e dagli inviti a non esagerare. Lo vedi dalle richieste di apertura teatri e cinema e musei e biblioteche. Lo vedi dalla voglia di riprendere le attività nelle università. Lo vedi dalle foto virali di scope messe in piedi. Lo senti dalla telefonata di un amico che ti chiama al telefono e ti dice: “Ramù, mi stuffà!”
Raimondo Moncada

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