Chi entra in un negozio, possiamo definirlo un negozionista?
È importante conoscere la lingua italiana, il suo ricchissimo vocabolario che ci permette di indicare con precisione un oggetto, una persona, un’azione… tutto.
Con le parole esprimiamo concetti, punti di vista e diamo pure etichette.
Si fa, ad esempio, un gran parlare in questi giorni di negazionisti, di chi nega l’esistenza del virus Covid-19 e dei morti che ha provocato. Gente che liberamente va in piazza senza le prescritte protezioni anti-Covid a protestare contro le criminali limitazioni alla libertà, le “invenzioni” del virus letale, il business e la “dittatura sanitaria” bruciando o tentando di bruciare pure le mascherine.
Il negozionista, nel nostro caso, dovrebbe indicare chi ha la mania incontrollata dello shopping e non può fare a meno di entrare in un negozio e comprare.
È una dipendenza irresistibile, un’energia che si impadronisce del tuo cervello, della tua razionalità, e che in qualche modo devi scaricare. Vedi così un libro nella vetrina di una libreria e lo devi per forza avere tra le mani anche se poi, portandolo a casa, non lo leggerai. L’importante è comprarlo e metterlo in vetta alla montagna di altri libri o di maglioni o di cravatte o di scarpe o di bottoni che hai acquistato e che attendono di essere degnati di attenzione.
La lingua ti permette anche collegamenti tra le etichette e ampliarne i significati. Al negozionista nessuno impedisce di essere un negazionista e negare la propria dipendenza: “No, le centomila cravatte nel mio guardaroba non sono mie ma di mia moglie”.
E al negazionista nessuno impedisce di essere un negozionista, di non seguire nella protesta di piazza altri negazionisti per entrare di gran corsa in libreria e comprare i libri intravisti in vetrina: “Come essere, negandolo, un negazionista” e “Come guarire dal negozionismo comprando a più non posso”.
Raimondo Moncada
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