Un cappuccio e un deca


Entro in un bar per un cappuccino e assisto a una lezione di lingua e di come farsi capire con velocità e chiarezza in un mondo frenetico. Accanto a me, davanti al bancone, c’è una signora con la mascherina che fa un ordine più complesso. 

“Un cappuccio e un deca”.

Dietro al bancone ci sono due addetti al servizio, un uomo e una donna. Sono organizzati, efficienti. Uno prende le ordinazioni dai clienti e controlla gli scontrini e una armeggia con una grossa macchina fumante per fare cappuccini, caffè e altro. 

Quando chiedo un cappuccino mi sento rispondere con cortesia “Subito, Signore!” 

La donna accanto a me, a occhio e croce vicina alla sessantina, insiste nella sua ordinazione come se non fosse stata sentita in un bar del centro di una grande città molto frequentato e con un coro di voci che lo rendono rumoroso: 

“Un cappuccio e un deca, per favore!”

La donna dietro al bancone la guarda e continua a lavorare alle precedenti ordinazioni. Il collega delle ordinazioni chiede come se non avesse ben capito per distrazione: 

“Cosa desidera?”

“Un cappuccio e un deca”.

Ascolto e assisto alla scena con la coda dell’occhio. Non ho fretta e spero che mi servano il più tardi possibile, almeno dopo la signora accanto a me. 

È quel “deca” che forse non viene compreso. A me richiama subito il numero dieci. Ma non può essere. Non può essere che una entri in un bar e, nel giorno dell’inizio della scuola, chieda un dieci come se i dieci si potessero ordinare con uno scontrino. 

La signora cliente insiste così come insiste il barman che, preso da altri clienti che reclamano la loro colazione, non afferra e continua a chiedere: 

“Cosa? Un cappuccio e …”

“Un deca!”

Chiaro. Così come dovrebbe essere chiaro chiedere un’ARA per un’aranciata, una GASSA per una gassosa, uno SPRI per uno Spritz, un CAP che sta per un Codice di Avviamento Postale se devi mandare una lettera o per Cappuccino se sei dentro il contesto di un bar. 

Ma per capire una lingua bisogna essere in due ed essere sintonizzati sullo stesso codice. Se gridi “AIÙ! AIÙ!” e nessuno capisce che chiedi aiuto, puoi morire. 

Per fortuna, al bar, la ragazza addetta alla macchina delle colazioni liquide comprende le ripetute richieste della cliente e sul suo vassoio contenente un cornetto poggia una tazza e una tazzina dicendo:

“Ecco a lei il suo cappuccio e il suo deca”. 

“Grazie.”

“Grazie a lei”.

Mi sono ripromesso di ritornare nello stesso bar e di usare la stessa lingua compressa della signora. Se alla fine l’hanno capita, capiranno pure me. E se poi saremo più di due a parlare la nuova lingua, potremo tentare di affermarla e di fondare un nuovo codice diffuso. 

VVB (Vi Voglio Bene). 

BG (Buona Giornata). 


Raimondo Moncada

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