Nel buio seguire la stella

29 ottobre 2021 

Notte di sonno, notte serena, dopo una giornata carica di eventi e di estrema tensione. Non mi sono svegliato neanche una volta. A pensarci bene ho aperto solo una volta gli occhi e attraverso il vetro della mia finestra ho visto una stella nel cielo buio. L’ho osservata per qualche secondo e mi sono riaddormentato. 

Una stella accesa, luminosa, nel buio, che mi ricorda passati momenti tanto difficili quando mi sono ritrovato in un tunnel nero e dove mi sono immaginato una luce in fondo da seguire. La stella del cielo di Bologna non è frutto della mia immaginazione. È una stella vera. Mi avrà fatto svegliare per dirmi: ci sono, seguimi, ti accompagnerò nella direzione della piena guarigione e tutto brillerà come prima, meglio di prima. 

Mi sveglio col giorno. Alle 7 c’è un’alba meravigliosa che fotografo. Il cielo si sveglia con me e mi colora la giornata. Invio la foto a Lucia che commenta “Bellissima. Se togli il balcone sembra un giardino incantato”. 

“Sì, ma la ringhiera del balcone fa parte dell’immagine. Se la faccio togliere rischio di cadere giù”. 

Si comincia a sentire qualche voce in reparto. Anche l’ospedale Bellaria si sveglia. 

“Buongiorno, oggi come stiamo?”

“Buongiorno, lei è il dottore…”

“Sì, sono il dottore che ieri le chiedeva di parlare e lei mi parlava della sua Sicilia…”.

“Posso chiederle come si chiama?”

“Di Nunno”.

“Ieri le parlavo, ma ero rallentato, ero come allucinato, guardavo e non guardavo, con la vista quasi nel buio, e ballavo dal freddo sul letto. Ma cosa mi è accaduto?”.

Il dottore Di Nunno, giovanissimo, trentenne, me lo spiega in termini scientifici. Mi parla – se ricordo bene – della pelle diventata tutta rossa che si è presa tutto il calore del corpo e il corpo ha reagito sentendo freddo anche con la coperta con cui hanno cercato di  coprirmi e di riscaldarmi. 

“Ora come sta?”

“Mi sono ripreso. Mi sento un leone”.

“Bene”.

Me lo chiedono in tanti, tra gli infermieri, come sto. C’è come una famiglia al reparto. Ci si conosce tra pazienti e tra pazienti e operatori sanitari. Si è anche presentato un infermiere di cui mi ha parlato Gaetano. La sua presenza si fa sentire. È un tipo vivace, socievole, ama scherzare, fare amicizia. È l’infermiere di cui mi ha parlato anche Maurizio, il mio compagno di stanza:

“C’è un infermiere che canta”.

E lo sento, si fa sentire. È originario di Alcamo e parla e canta in siciliano. Mi sento a casa così a casa che una volta assieme a Fabrizio, così si chiama, ho cantato pure io, lui nel corridoio del reparto Oncologia e io a letto. 


(Un anno fa. Brani tratti dal mio diario, appuntati dopo la seconda notte in ospedale, al Bellaria di Bologna, in stato di ricovero per la chemioterapia, in preparazione dell’intervento chirurgico per la cacciata di un alieno cattivo domiciliatosi dentro il mio corpo. Ricordi potenti, di un percorso durissimo, che si ripresentano).


Raimondo Moncada

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