Le cose le apprezzi quando ti mancano o ti stanno per mancare o quando qualcuno o qualcosa vorrebbe portarsele via, come la vita, come la tua terra che ti ha fatto nascere e ti ha messo dentro, dentro la tua testa, dentro il tuo DNA, dentro i tuoi organi, dentro il tuo sangue, dentro la tua anima, dentro i tuoi pensieri, tutta se stessa. E l’accarezzi ogni giorno, la tua terra, la ringrazi, ti meravigli, la percorri in lungo e in largo assaporandone gli odori, fermandoti davanti a uno scorcio di mare, a un piatto di ceramica, a un gioiello di corallo, alla squisitezza dei dolci, alla bontà delle persone, alla pittura della Valle dei Templi, ai giardini arabi del tuo centro storico ancora resistenti al tempo, alle pietre umide e nude di quei muri che hanno assistito all’urlo di gioia per i tuoi primi passi in questo mondo, in questa terra, dove è nata tutta la tua famiglia, dove sono nati parte dei tuoi amici, dove quando ritorno dopo distacchi lunghi mi si apre il cuore e bacio la terra come quella volta, ricordo, dopo il mio primo viaggio in aereo nella gita scolastica a Parigi di quinto liceo Leonardo, arrivato in aeroporto a Palermo dopo le turbolenze del viaggio, ho baciato in ginocchio la pista di Punta Raisi (allora Falcone e Borsellino erano vivi).
Luci e ombre, forze di attrazione e forze di espulsione, amore e odio, sentimenti sempre forti, contrastanti, che convivono, che si combattono, e ora vince l’uno e ora vince l’altro facendo dimenticare per un po’ di tempo il sentimento umiliato e sconfitto, oscurandolo con la luce abbagliante della bellezza di una terra di cui sei parte, in quanto corpo unico e di cui senti il battito provenire dalla profondità che non sta solo sotto i tuoi piedi.
C’è una bellissima parola nella nostra lingua madre che viene tradotta in italiano anche con “nostalgia” (dico anche perché nella traduzione da una lingua a un’altra si perde tanto, si perde spesso il sentimento). Questa parola è “allammicu” che è potente e pure pericolosa perché certuni rischiano pure di stare male quando stanno troppo lontano dalla loro terra natia. E c’è chi ne muore.
“Minchia che bella la Sicilia” ho letto su una maglietta nella vetrina di un elegante negozio al centro di Palermo e io mi sono fermato, travolto dai pensieri per poi alla fine confermare il giudizio (“Minchia che bella la Sicilia!”) e proseguire il lento camminare, alla riscoperta di me stesso.
Raimondo Moncada
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