L’errore di Dante


“Come è duro calle lo scendere e il salir per l’altrui scale”.

Così ha scritto l’azzardoso amico Alighieri e quando l’ho saputo mi sono permesso di inviargli, risentito, una nota di lagnanza.

“Te sei errato”, gli ho detto. “Tu non puote generalizzare e far di tutta l’erba un unico tiro, sbagliando macari il bersaglio”.   

Abituato a lodi per la sua storica e indiscutibile autorità letteraria, Alighiero c’è rimasto male e poi ha sciolto il suo peso interiore in uno marmoreo pianto. Mi ha fatto pietate e cosine l’ho preso in braccio, cantandogli “Ninna nanna, ninna oh”.   

Alighierino mi ha quindi chiesto scusa che io, dantescamente ho accettato.  

Il poeta della Fiorentina ha aggiustato il tiro.

Le sue parole divine non si riferiscon più al caso mio, al ritorno alle mie scale quotidiane, alla loro leggerezza, alla loro musicalità, alla loro piacevole salita e discesa, a cui adesso faccio caso con consapevole presenza Zen, gradino dopo gradino, che accarezzo vellutatamente con la suola delle zappanti scarpe.

Ho chiesto a Dantino un aggiornamento della Commedia che non ha tardato di correggere, onorandomi di missiva:

 

Tu troverai ogne cosa diletta

più caramente; e questo è quel fanale

che il baglior del ritorno ti saetta.

Tu proverai sì come non è più banale

lo pane quotidiano, e come è dolce calle

lo scendere e ‘l salir per l’amichevol scale.


Mi auguro adesso che il Ministero dell’Istruzione e del Merito, che i Provveditorati agli Studi o, come si chiamano da qualche anno, gli Uffici Scolastici Provinciali, provvedano a far stampare e a distribuire nelle librerie, nelle biblioteche e nelle scuole la Divina Commedia riveduta et corretta e con i dolci calli messi bene in evidenza.    


Nella foto, mi ritraggo con un selfie d’altri tempi mentre salgo le scale dello storico Palazzo Municipale di Sciacca, edificato prima della mia nascita e dove ho rimesso piede dopo un anno di sospensione lavorativa forzata sommerso dal caloroso affetto, non delle antiche mura, ma da persone, tante persone col cuore aperto, senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di lingua, di capelli, che mi hanno commosso e rammollito accettandomi con un caloroso abbraccio e silenzioso rispetto per quello che sono adesso: un’altra persona. E infatti, anche oggi, vedendomi, incontrandomi,  mi continuano a ripetere: “Ma cu sì?”, ma solo ironicamente.  

L’umanità trasuda.

E come è dolce calle …


Raimondo Moncada 


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