Torna a Perugia il partigiano bambino Gildo Moncada

Sarà un’immersione nella storia, nell’intimo di chi mi ha messo al mondo e nelle profondità della mia famiglia.
Già lo sento.
Un’immersione totale, dove tutto è cominciato, dove un ragazzo di poco più di quindici anni decide in una terra allora per lui straniera, di lasciare i genitori, di lasciare ogni sicurezza, di abbandonare la dimensione della propria violata innocenza, e di aggregarsi ad altri, a tanti altri, sui monti, al freddo e al gelo, riscaldati da un anelito di speranza, da una comunione di ideali, da un unico grido: libertà!

Perugia. È ufficiale. Il libro Il partigiano bambino sarà presentato anche in Umbria, il 17 marzo. Non una data qualsiasi. A darne notizia, Gaetano Alessi, del gruppo editoriale di Ad Est che ha pubblicato il libro e da un anno lo promuove in giro per l’Italia e oltre, anche in Belgio: “Gildo Moncada torna nei luoghi dove ha combattuto per liberare l’Italia. Grazie all’Anpi per averci voluto. E il partigiano siciliano, capace di correre con una gamba sola, continua il suo cammino”.
A giorni avrò ulteriori dettagli.


Intanto, comincia il fermento interiore con i circuiti della memoria che si accendono, uno dopo l’altro. A Perugia, sono stato, ma tantissimo tempo fa. Ci ritorno dopo circa mezzo secolo. La prima volta ero un essere minuscolo, di tre-quattro anni. Allora non davo peso a niente. Tutto era una meraviglia e aveva lo stesso valore. Questa volta sarà diverso. Con pochi anni di vita, entrai nel capoluogo umbro, a bordo di una 500, con l’innocenza di un bambino e la curiosità di incontrare zii e cugini che in una parte lontana dell’Italia portavano il mio stesso cognome (un cugino anche il mio nome, il nome di nostro nonno). Adesso ci metterò piede (l’ho già fatto con la testa) con la maturità e il desiderio di un figlio che, per ricomporre la memoria di un padre, continua a cercare le schegge di una storia, di una vita, che proprio qui, nel centro del nostro Paese, venne segnata per sempre da una convinta scelta. Mio padre si ritrovò in Umbria da un giorno all’altro perché mio nonno, per mettere in salvo la famiglia dall’imminente guerra in casa, ad Agrigento, con l’annunciato sbarco degli Americani decisi a sradicare il nazifascismo dall’Europa, vendette tutto, per trasferirsi in un luogo che gli avevano assicurato essere sicuro. Ma così non fu. La guerra lo inseguì fino al 25 aprile 1945, a Brescia, a Calcinato, dove poi si rifugiò lasciando Perugia e un figlio, Gildo, che a sua insaputa, scelse di restare, per salire sui monti, entrando come volontario nella brigata partigiana “Leoni”. Due le immagini che lo legano a Perugia: i giorni della liberazione della città (19-20 giugno 1944) alla quale prese parte, e la conferenza con il generale Harold Alexander, comandante in capo delle forze alleate in Italia, al Teatro del Pavone (3 settembre 1944) dopo il gravissimo ferimento a Sansepolcro.

Il 17 marzo il mio ritorno a Perugia, da adulto, per parlare di mio padre, della sua storia, della sua scelta, della sua vita, nello stesso giorno in cui, nel 1944, il comandante della sua brigata, Mario Grecchi, medaglia d’oro della Resistenza, venne fucilato dai nazifascisti nel poligono di tiro.

Avrò bisogno dell’aiuto di una forza superiore per reggere all’urto emotivo.

 

Il partigiano bambino, dunque, riprende il suo cammino dopo essere stato presentato lo scorso gennaio nella biblioteca comunale “Aurelio Cassar” di Sciacca e nel liceo statale “Martin Luther King” di Favara. E dopo aver toccato nel 2017 Vignola (Modena), Ravenna, Licata, Ribera, Palma di Montechiaro, Reggio Emilia, Brisighella, Burgio, Riesi, Modena, Carpi, San Martino in Rio, Menfi, Agrigento (per ben tre volte), Roma (Camera dei Deputati), Bruxelles.

Un’inarrestabile emozione, una memoria che continua a ricostruirsi.

Raimondo Moncada

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