Non sono più della Juve, mi dimetto, se essere della Juve significa essere obbligati a vincere sempre e non accettare che esista come lontana possibilità anche la sconfitta.
Non sono più della Juve, abbandono tutti, se essere della Juve non ti permette di dare valore alle vittorie in serie di campionati e coppa Italia come se tutto, anche le coppe con gelato, fossero cosa scontata.
Non sono più della Juve, vado via,
se essere della Juve significa vivere ogni anno d’ansia e di pillole con l’ossessione di vincere la Coppa dei Campioni, come se altri squadroni in Europa non ne esistessero.
Non sono più un tifoso, mi tolgo la maglia, se essere tifoso significa vita o morte, e manifestare addirittura violenza per un risultato inatteso, una partita andata storta o giocata pensando alle vacanze e alle sciate sulla neve o al rinnovo del contratto.
Mi piacerebbe essere tifoso non della Juve ma di altre squadre, di quelle che non vincono niente, di quelle che sono rassegnate, di quelle che giocano per limitare il passivo di goal, con i propri supporter che vivono di ricordi e tifano pure contro la Juventus e sono felici quando i bianconeri perdono scendendo in strada a fare caroselli e che solo quando perdono non rubano il successo.
Ma io non tiferò mai contro nessuno. Meglio non tifare. Ogni tifoso dovrebbe tifare solo per la propria squadra: se vince bene, se perde la prossima volta tiferà con più grinta: FORZA JUVE! come i bambini, di quelli che non diventano mai adulti infantili però.
Mi piacerebbe non tifare per nessuno e tifare per una passeggiata in riva al mare, per la melodia di un’onda, per il canto di un gabbiano, per la voce del tuo amore che ti chiama e ti dice che è iniziata la partita, non alla tv, ma in spiaggia, con gli amici, a pallone e chi perde non perde niente.
Raimondo Moncada
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