Celebriamo Internet che ha compiuto mezzo secolo di vita incidendo profondamente nelle nostre vite, stravolgendole, e in quelle di intere comunità contribuendo addirittura a eleggere presidenti di Stati. Viviamo in dimensioni nuove, allargate, potenziate, accelerate, tridimensionali, sconfinate, eccitanti, modellanti. Con i modernissimi smartphone ormai facciamo di tutto e alla velocità della luce, avendo tutto a portata di mano (manca solo la funzione cucina per utilizzarli come padelle).
Ma nel meridione del mondo, dove la nuovissima tecnologia è arrivata fin dai suoi timidi esordi, le domande pare siano rimaste le stesse:
Andare o rimanere? Lasciare il sud e andare al nord, oppure provare a metter su casa e famiglia dove siamo nati e cresciuti e dove ci stanno i nostri più cari affetti?
Domande non da poco che già mi arrovellavano il cervello nella mia giovane età in quella che è stata anche la giovane età dei computer e del Www (Vuvvuvù). Domande che mi sono ritornate negli ultimi anni in concomitanza con l’età delle domande esistenziali dei giovani di oggi, e in particolare modo di chi hai messo al mondo:
La trattengo? O incoraggio il viaggio, con l’uscita dalla mia, dalla nostra terra?
In questi giorni ho avuto modo di parlarne, per caso, con un sacerdote durante la presentazione di un libro. E mi sono sbilanciato, manifestando purtroppo la posizione di incoraggiare i giovani – i miei figli – a puntare su luoghi che offrano un futuro con opportunità maggiori rispetto alla terra natia. Il sacerdote è rimasto in silenzio rispondendomi non a parole, ma con una smorfia. Mi ha fatto capire – così l’ho interpretato – che la pensava in modo diametralmente opposto, che bisognerebbe cioè incoraggiare i giovani a rimanere e a provare a costruire il proprio futuro qui, in Sicilia, provando a dare un futuro anche alla terra delle radici, alla terra dei loro genitori e nonni.
In questi giorni è pure circolata l’ennesima inchiesta di un giornale economico, con numeri impietosi, con meridionali che vanno via con direzione sud-nord, spopolando e impoverendo interi paesi, privandoli di energie, di ricchezze, di futuro, come un tempo, come prima, inarrestabilmente. Vanno via studenti per formarsi e specializzarsi all’università; va via il laureato o il plurilaureato per affermarsi nella propria disciplina; va via il disoccupato o chi ha perso il lavoro: cervelli e manodopera in meno in una terra che lacrima.
E io a chiedermi:
Ma che debbono fare? C’è una speranza a cui aggrapparsi per rimanere? E se non ora quando?
Ma non è stato sempre così. Sempre in questi giorni ho ascoltato l’autore di un romanzo storico su una famiglia normanna. Ha spiegato che mille anni fa le cose stavano diversamente. Era il nostro sud a essere l’attuale nord. Dal settentrione del mondo venivano proprio da noi, perché eravamo noi a offrire loro un futuro di prosperità. E quando si parla di medioevo, in Sicilia, proprio in quel periodo, il medioevo non esisteva perché c’era la luce e c’era l’oro.
Il viaggio è comunque salutare. Incontri nuova gente, vieni a contatto e ti appropri di nuove culture, nuovi sistemi, nuove mentalità, nuovi slanci, nuove prospettive. Uscire potrebbe significare riuscire, riprendendo il detto siciliano “Cu nesci arrinesci!” contro cui nelle ultime settimane è sorto un movimento che ha come slogan “Si resti arrinesci.”
E io a dirmi sempre, tra me e me:
Come si fa a far cambiare idea a chi nella nostra terra sbatte la testa contro il muro? Come si fa a fermare chi insegue un sogno, chi vede oltre, chi guarda un altro orizzonte ritenuto più luminoso?
In questi giorni – tutto pare si sia per me concentrato in questi giorni – ho deciso di cambiare operatore telefonico. Ho cercato un negozio fisico dell’operatore prescelto, con tanto di personale umano a cui rivolgermi per essere aiutato. Niente da fare. Il cambio col nuovo operatore si fa da soli, con la tecnologia che ti consente di fare tutto in solitaria e velocemente, gratuitamente, tramite sito internet che puoi raggiungere con il vecchio computer o con l’inseparabile smartphone, o anche attraverso delle macchinette, dei totem informatizzati altamente innovativi dove inserisci pure la carta di identità e registri dei video in cui dichiari di accettare tutto quello che la stessa macchina ti chiede:
“Sono Pincopallino e sono felice, felicissimo di far parte della famiglia. Accetto ogni condizione dopo aver letto al volo tutte le diecimila pagine di contratto e di avvertenze sulla privacy …”
La cosa mi ha impressionato perché sono cresciuto col miraggio di una tecnologia che ha promesso non solo di rivoluzionare le nostre esistenze, non non solo di migliorare le nostre vite – come è miracolosamente accaduto – ma avrebbe anche creato nuove, nuovissime occasioni di lavoro. Le nuove occasioni di lavoro sono arrivate in quello che è ancora un mondo tutto da scoprire e da sfruttare, perché le sue potenzialità sono spaventevolmente enormi. Ma continuo a chiedermi:
Qual è il bilancio tra l’occupazione creata e quella tagliata?
L’impressione è che la macchina stia sostituendo in tutto e per tutto l’uomo, nelle sue attività manuali e anche in quelle intellettuali e che ci sia un’ignoranza digitale diffusa, con la tecnologia così galoppante che non ti dà il tempo di stare al suo passo. Con l’intelligenza artificiale, poi, che fa passi da gigante, rischiamo di diventare tutti cretini: la macchina lavorerà, parlerà, scriverà… si ritaglierà il tempo per uscire, andare in giro e farci fare i bisognini, perché quelli la macchina non li vorrà fare al posto nostro. E andremo per vie senza negozi perché sostituiti da quelli su internet.
Non ci resta, allora, che ritornare a fantasticare. La fantasia, quella pura di noi bambini, sono sicuro che in qualche modo ci salverà. È l’unico terreno dove la macchinetta al momento si presenta perdente.
Speriamo bene.
Intanto, buon compleanno internet. Sai, sono più grande di te di due anni, con l’unica differenza che io invecchio mentre tu continui a essere sempre più giovane e intelligente senza l’assillo di dovere emigrare, fai emigrare invece noi umani facendoci viaggiare dentro il tuo mondo.
Raimondo Moncada
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