I morti in Sicilia sono vivi. A inizio novembre i cari defunti ritornano non facendosi vedere ma sentire, percepire, con una presenza vera e non risparmiandosi a donare cannistri su cannistri, ceste di dolci assortiti, e giocattoli. I morti, dalle mie parti, sono molto generosi, soprattutto i nonni, tanto attesi in questi giorni dai piccoli nipoti.
Io sono stato piccolo e sono stato un nipote esigente e viziato e posso dare viva e commossa testimonianza dell’arrivo e della presenza dei miei cari defunti. Bambino, stavo giorni ad attendere con ansia i miei nonni che, proprio nel giorno dei morti, si facevano vivi. Non si dimenticavano mai di me, dei miei fratelli e di mia sorella. Ritornavano sia i nonni che avevo conosciuto in vita sia i nonni che non avevo mai visto di presenza perché morti tanti anni prima della mia nascita, come il nonno di cui porto il nome morto nel giorno dei morti del 1948 dopo l’incubo della seconda guerra mondiale. E arrivavano di notte, approfittando del sonno dei nipoti, facendoci trovare tavolate di pupi di zucchero, taralli, frutta martorana, bambole, biciclette e pistole giocattolo. Trovavamo tutto quello che confidavamo ai nostri genitori che giorni prima ci interrogavano:
“Cosa avete chiesto ai morti?”
E noi a rivelare i nostri desideri, anche le cose più costose, anche le cose non alla portata delle finanze di allora. Ma lo chiedevamo comunque perché i nonni sono generosi e accontentano sempre i nipoti. Ricordo una volta una richiesta azzardata: la pista elettrica con le macchine da corsa. L’avevo vista a casa di un altro bambino e la desideravo pure io. Non riuscendola ad avere in altri giorni normali dai genitori mi arrivò dal cielo, da un altro mondo, dai nonni. Perché ai nonni si può chiedere di tutto anche le cose che i genitori non si possono in quel momento permettere.
Anche se defunti per gli altri, per noi vivevano, ritornavano a vivere. Aprivamo gli occhi nel giorno dei morti ed era festa per noi bambini. I cari defunti erano tra noi. Ce lo certificavano mamma e papà:
“Questo te lo porta nonno Raimondo, questo nonna Rosina, questo nonno Peppe, questo nonna Carmela”.
Lo ricordo ancora, nella mia prima casetta di Vicolo Seminario, nel vecchio quartiere di San Gerlando, ad Agrigento. Ogni anno si ripeteva questa meravigliosa tradizione, ed è durata fino a quando la curiosità non ci ha portati a scoprire la lunga mano di mamma e papà, complici dei loro genitori. Peccato. È crollato di colpo tutta quella magia. La curiosità, mossa dal sospetto di un’età sempre meno infantile, ha fatto morire la meraviglia della tradizione dei morti che negli ultimi anni sembra pure essere scemata.
Nelle pasticcerie, nei bar, vedo che resiste ancora la frutta martorana e resistono anche i taralli e quei dolci che si chiamano ossa di morto che per masticarli ti devi far prestare una dentiera d’acciaio. Io ricordo anche i riccetti di mandorla, che mi arrivavano da Palma di Montechiaro, paese dei nonni materni.
Dalla lamentela di un nonno, registro oggi che non tutti continuano l’usanza come quella ad esempio di preparare i pupi di zucchero. Nonno che però non si rassegna e che mette un mondo sottosopra per accontentare le richieste di nipoti ormai cresciuti ma legati sempre a una tradizione che alla fine è solo un legame di amore tra generazioni, tra le radici di una famiglia e le sue nuove infiorescenze.
Come mi piacerebbe svegliarmi nel giorno dei morti e ricevere ancora una volta un pensiero dai miei cari nonni: Raimondo, Rosina, Giuseppe e Carmela!
In ogni caso, con un fiore in mano, con l’odore di un fresco tarallo, di un dolcissimo riccetto di mandorla, chiuderò gli occhi per sentire la fragranza della loro presenza in compagnia di figli, diventati a loro volta nonni, che da tempo sono andati via da questa terra, rimanendo però vivi dentro di me.
Raimondo Moncada
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