Si è parlato tanto, tantissimo, dei fondatori, del loro genio, della loro creatura, della loro irrefrenabile voglia di raccontare il mondo e del loro insistito corteggiamento, da quindicenni, al professore, ovvero Leonardo Sciascia. Giusto. Giustissimo.
Si è parlato pure tanto, tantissimo, del gruppo storico della testata giornalistica. Giusto. Giustissimo.
Si è anche parlato dei collaboratori che si sono aggiunti dopo, col salto epocale dalla carta al web, dalla tipografia al display di uno smartphone.
Si è parlato tanto, tantissimo – ma non a sufficienza, secondo il mio condizionato e affettuoso parere – del direttore, di colui che ieri sera al Castello Chiaramontano di Racalmuto si è definito “il fratello maggiore” di quei ragazzi, Giancarlo Macaluso e Gaetano Savatteri, a cui si sono poi aggiunti Gigi Restivo e Totò Picone, che quarant’anni fa hanno dato vita all’avventura di Malgrado Tutto. E quando mi riferisco al direttore parlo di lui, di Egidio Terrana, il direttore di allora, il direttore di adesso, l’uomo, il padre, l’amico, che ancora oggi a distanza di tantissimi anni regge la direzione con tenacia, professionalità, eleganza, serietà, coraggio, sensibilità, signorilità, lungimiranza, passione, amore (sono troppo di parte!).
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Malgrado Tutto oggi deve tanto a Egidio Terrana, che ho sempre considerato un maestro (lui lo è stato veramente, a scuola) e lo chiamo sempre così, “maestro”, quando ci sentiamo al telefono e stiamo anche ore a parlare, riuscendo a fare ragionamenti seri e anche leggeri così leggeri da farci dimenticare l’età e gli acciacchi solo ad essa collegati (a metà degli anni Novanta, ricordo, gli ho dedicato un servizio di babbìo a sua insaputa dentro una sua trasmissione a Teleacras, con interviste ai frequentatori del mercato settimanale di Agrigento chiamato a rispondere su un libro-fake con finto autore lo stesso Egidio dal titolo: “I miei primi quarant’anni!”).
Egidio è direttore, Egidio fa il direttore, a Egidio piace fare il direttore, e ti trasmette ancora questo suo antico e genuino entusiasmo. Legge il pezzo, che i vari collaboratori da tutt’Italia gli inviano, da cima a fondo, con attenzione, e se c’è qualcosa che non lo convince li chiama e ne discute, pacatamente, ma fermamente, perché il pezzo non lo impagina e non lo condivide mai ciecamente (“a saccu d’ossu!”). E poi Egidio si esalta con i titoli che sono fondamentali per valorizzare il pezzo, per renderlo subito visibile nella caotica baldoria del web, perché i titoli sono una parte importante dell’identità dello stesso giornale.
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Ieri sera ho partecipato a Racalmuto alla cerimonia che ha celebrato i primi quarant’anni del giornale (c’è chi ne ha augurati altri quaranta, chi altri cento e io a pensare ogni volta al futuro, alla mia corrispondente età). E ha celebrato per come meritavano gli storici fondatori. Egidio quando è stato chiamato dalla conduttrice a salire sul palcoscenico, da direttore, si è commosso. Ero alle sue spalle, dietro le quinte, perché – tra lo spettacolo teatrale dedicato a Macaluso e Savatteri e la cerimonia con tutti i protagonisti di allora e di oggi – ha voluto al volo che facessi un lancio con voce fuori campo: “Malgrado Tutto, 40 anni. Benvenuti a questa serata speciale. Signore e signori, Ninfa Colasanto, giornalista de La 7!”. Pur avendo il suo inseparabile microfono in mano, la sua arma di sicurezza, ho sentito la sua voce traballare e annodarsi in gola, ho sentito pause inusuali, parole che non uscivano dalla bocca con la solita ammirata spontaneità.
Mi sono commosso pure io della sua commozione.
Davanti a lui, seduto in prima fila, ecco Gaetano Savatteri, e in remoto collegato da Palermo per motivi di lavoro, Giancarlo Macaluso, ricordare aneddoti indimenticabili; e poi tra il pubblico, distanziato per Covid, tanti altri del nucleo storico del giornale e del team attuale; e ancora sindaci e assessori di varie province, uomini e donne di cultura, a rendere omaggio a questo pezzo di storia della provincia di Agrigento, della Sicilia. E lui, Egidio, a esaltare, sempre, sul palco e poi a cena parlando in intimità, quei ragazzi, quei fratelli più piccoli cresciuti con lui, che oggi sono giornalisti e scrittori affermati e stimati, di altissimo livello, che si sono fatti strada per il loro naturale e straordinario talento, dopo quei tempi spensierati e frementi del liceo, dopo quei viaggi-briefing in treno che da Racalmuto li conduceva a scuola ad Agrigento e il cui esordio giornalistico con scintille, in un locale concesso dalla chiesa, è stato mirabilmente raccontato in una pièce teatrale scritta da Filippo D’Arpa e diretta dal regista Giuseppe Dipasquale, allievo e amico di Andrea Camilleri, con in scena gli attori Francesco Russo e Valerio Santi a interpretare proprio loro, i due fraterni amici creatori del prestigioso giornale e dell’originale nome della testata tanto caro a Leonardo Sciascia: Gaetano Savatteri e Gerlando Macaluso, che poi si rivolgeranno a Egidio per affidargli la direzione, perché il giornale aveva bisogno di un direttore responsabile iscritto all’Ordine.
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Una rappresentazione teatrale emozionante sotto le stelle silenziose di Racalmuto (Giancarlo priciso priciso nel fisico e nella gestualità, incredibile!), ottimamente scritta, diretta e interpretata, con un continuo riferimento al professore (Leonardo Sciascia) che alla fine consegnerà ai due promettenti giovani, Giancarlo e Gaetano, quel pezzo che verrà incorniciato in apertura del numero uno di Malgrado Tutto. Una pièce a cui, io, e sottolineo io, – non è una critica, ma un mio personale l’unto di vista troppo condizionato dall’affetto – avrei aggiunto un riferimento preciso anche al maestro, alla guida, al punto sempre fermo della storica testata. Ma è un mio modestissimo parere, parziale, affettuoso, da fratello minore e da eterno allievo.
Raimondo Moncada
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