Il web ormai impazza e noi rischiamo di impazzire per troppo web, rischiando pure di diventare dei webeti. È giusto fermarsi un attimo e riflettere per il nostro futuro, per il futuro della società per come l’abbiamo finora conosciuta e vissuta.
Sediamoci, dove vogliamo, dove siamo più comodi, e sforziamoci, anche fuori casa ma a distanza, prima delle 22 e dopo le 5. E poniamoci alcune fondamentali domande:
Meglio il virtuale o è meglio il reale?
Meglio l’intoccabile o è meglio il toccabile?
Meglio lo shopping online o gli acquisti di presenza?
Meglio… ?
Sono domande che qualcuno da un po’ di tempo già si pone e che è giusto porsi in un momento in cui tutto, proprio tutto, sembra trasferirsi sul web: l’istruzione, il lavoro, l’economia, l’editoria, la ricerca della zita o dello zito (per i non siculi traduciamo in fidanzati o nel più moderno compagni).
In un momento di divieti mai visti prima a causa della pandemia con l’obbligo di stare il più distanti possibile gli uni dagli altri, e di rimanere preferibilmente a casa con i familiari contati, il web è stato una manna dal cielo perché ci ha consentito di proseguire attività e relazioni che altrimenti sarebbero andate in lockdown: tutto chiuso fino a cessata emergenza!
Grazie infinite web per averci permesso di continuare in qualche modo a vivere e perché ci consenti pure di dialogare a casa con i nostri congiunti.
Ma la vita digitale, diciamocela tutta, è altra cosa rispetto alla vita reale, fisica, a tutto tondo, toccante. Un conto è leggere un messaggio, un articolo, un libro sul web, altra cosa è avere davanti chi ci parla, chi non ci parla, chi con i soli occhi è capace di riempirci di lacrime e di toccare il nostro cuore.
La stessa cosa è per l’economia reale, l’economia del contatto fisico, l’economia del toccare, dell’annusare, dello sfogliare, del provare, del chiedere informazioni non con un’email, ma con la bocca, con i denti, con la lingua, con tutto l’apparato fonatorio, con le rughe della nostra faccia quella non migliorata dai filtri di Photoshop e della miriade di App di stravolgimento dell’immagine (io fotoscioppato neanche mi riconosco più!).
Non sto condannando il web e lo shopping online. Sto solo inneggiando allo shopping antico, quello medievale, che prevede l’uso del proprio corpo e dei cinque sensi (o anche sei, meglio abbondare), che prevede una camminata nelle strade di una città; che prevede l’ingresso con i nostri piedi in un negozio, salutare i titolari o le commesse o i commessi, ricevere un cortese benvenuto e la disponibilità a darci qualsiasi aiuto anche a provare i vestiti al posto nostro; che prevede il vedere a quattro e più dimensioni un vestito, il provarlo, il vederselo addosso, l’innamorarsene; che prevede l’entrare in una libreria, farsi un giro, toccare l’inverosimile con le mani gellate, farsi colpire da una copertina, un titolo, un argomento, un autore, aprire il libro scelto, leggerne di buon mattino qualche pagina e ritrovarsi la sera la commessa alle spalle che ti dice “Stiamo per chiudere, se le fa piacere può continuare a leggere domani mattina” e tu a rispondere “Mi scusi, sono qui in piedi da otto ore e non me ne sono reso conto, debbo qualcosa?” e la commessa a sorriderti “Non si preoccupi, ritorni domani”. E tu ritorni l’indomani per avere quel libro o per comprare quel vestito o per comprare quel regalo solo perché lo hai toccato, lo hai visto di presenza o qualcuno te ne ha fatto innamorare.
Sul web queste umane carinerie non le trovi, neanche il commesso o la commessa che non sanno fare i commessi e che perdoni perché li conosci e perché è un lavoro e perché hanno studiato per altro con tanto di laurea e perché dunque possono migliorare. Sul web vedi solo milioni e milioni di immagini in vetrine virtuali, distanti, magari di un altro continente, che ti rubano l’attenzione e ordini senza avere alcun contatto umano, paghi con carta elettronica o con un codice numerico e poi attendi la consegna a casa. Attendi le scarpe delle immagini o gli anelli delle immagini o la panciera dimagrisci 250 chili in due minuti e poi cerchi di rimandare indietro tutto perché le scarpe neanche ti vengono, perché non corrispondono ai tuoi gusti, perché non si abbinano con il vestito del capodanno da trascorrere quest’anno solo in famiglia; perché l’anello neanche al mignolo ti entra e poi è pure di un colore meno brillante delle immagini; perché non sei dimagrito neanche di un grammo anzi sei ingrassato dalla rabbia.
Prima che sia troppo tardi, recuperiamo la dimensione fisica del nostro vecchio mondo. Il toccare, l’ascoltare, il gustare, l’assaggiare, l’annusare, il vedere di presenza aggiunge vita alle nostre umane esistenze: non si può vedere il teatro in video e sul web. E poi riflettiamoci bene:
Vogliamo davvero trasferirci a sacco d’osso sul web?
Vogliamo davvero spostare tutta l’attività commerciale sul web?
Vogliamo davvero comprare solo sul web per risparmiare quel po’ di centesimi privandoci dei sorrisi in carne e ossa dei commessi e delle commesse o dei titolari dei negozi che non hanno prezzo?
E cosa sarebbero le nostre città, i nostri viali, i nostri centri storici, senza le scintillanti vetrine di negozi aperti?
Siamo pronti a passeggiare nei viali del web?
Buon Natale!
Raimondo Moncada
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