“Sciascia disse, Sciascia gli disse, Sciascia mi disse. In questo 2021, nel centenario dalla nascita, ne sentiremo di ogni, tra realtà, finzione e mitomania”. Lo ha scritto Venerando Bellomo, avvocato, intellettuale, memoria storica, collaboratore di Malgrado Tutto. E lo ha scritto il 3 gennaio 2021 e non su un tradizionale atto pubblico, legale, ma sul suo profilo Facebook, che ha ormai l’automatica attestazione di atto pubblico, più pubblico del noto atto pubblico.
Il post ha del provocatorio, intenderebbe suonare la campanellina, mettere in guardia, stoppare qualsiasi accostamento, legame, frutto di mera invenzione o esagerazione finalizzata ad auto esaltazione per vanteria, come capita, com’è capitato con letterati che prima non erano nessuno e poi sono diventati qualcuno:
“Sai, io con Luigi Pirandello, dico io con lui, o meglio lui con me, facevamo ogni giorno colazione a Roma. Ricordi in quel bar che oggi non esiste purtroppo più, dove dalla vetrata su ammirava una fontana con quei putti zampillanti che sembrano fare la pipì di continuo e tu dici: ma quant’acqua ha accumulato dentro?”.
Quando una persona è normale, ordinaria, sconosciuta, anonima, nessuno ci fa caso, nessuno la considera, nessuno la disturba, nessuno si vanta della sua conoscenza e dopo anni e anni dalla sua dipartita l’oblio è assicurato, sia nel singolo individuo che nel pubblico. Magari, se te la ricordi, ci vai al trigesimo. Ma poi scompare nel magma dei tuoi pensieri. Altra cosa è ricordare la stessa persona se un evento, un successo, un ripensamento, l’ha fatta diventare famosa. Allora le cose cambiano. Anche se ci siamo distrattamente scontrati braccio contro braccio durante la passeggiata di capodanno nella piazza principale del paese (esclamando un muto “E faccia attenzione a dove mette i piedi e si vergogni alla sua età a camminare sempre con quel cellulare acceso!”), lo scontro con quella persona sconosciuta e insignificante sarà ricordato anni dopo come la prova delle prove della vostra riconosciuta amicizia. Sarà la prova maestra, a prova di giudizio di primo secondo e terzo grado, che quel giorno in una pubblica piazza e davanti a un’infinità di testimoni, con quella persona apparentemente insignificante ma visivamente straordinaria ci siamo fermati e parlati (con quell’istante che è sembrato durare un’ora) prima che partisse per sempre per il ritiro del premio Nobel e per le tournée teatrali e letterarie in tutto il mondo. E lo potranno certificare le telecamere di vigilanza che tanto abbiamo criticato per violazione della privacy con quell’istante ammutato e visto e rivisto a rallentatore per farlo durare il più a lungo possibile.
Ma che c’entra tutto questo con la considerazione iniziale di Venerando Bellomo? Giusta osservazione! Nello zig zag dell’appassionato ragionamento, stavo per dimenticare il dunques (il dunque!).
Mi riallaccio al filo del discorso e ammetto solennemente: ebbene sì, ho conosciuto Leonardo Sciascia! C’ero quando è nato l’8 gennaio 1921, sette anni e diciannove giorni prima della nascita di mio padre. Ricordo che è nato piccolo, minuto, quasi ma non precisamente la stessa misura media di un neonato, a Racalmuto, così come possono confermare – potete andare a verificare che è importante oggigiorno con tante fake news che mettono in giro e a cui crediamo – tutte le biografie uscite dopo che ha cominciato a far parlare di sé anche se lui non amava tanto parlare ma scrivere, faceva parlare scrivendo.
Eccezionale!
Ma quando parlava, quando apriva la bocca, tutti lo stavano ad ascoltare come si ascolta in un luogo sacro la parola di un religioso anche se tra una parola e l’altra impiegava il tempo di un pacco di sigarette, il tempo di distillare il meglio del grande laboratorio di idee che aveva in testa. Questo accade, e lo accetti quando consideri una persona importantissima e stai lì ad ammirarla in silenzio, anche se tra una parola e un’altra impiega pure il tempo di una stecca di sigarette (se provi con una persona non ancora famosa ti snervi già con una boccata di fumo: le dici parolacce, la mandi a quel paese e l’abbandoni alla presentazione del suo primo o secondo libro a cui non va nessuno perché lo scrittore non è famoso, si dà solo delle arie, però ti fai i selfie e i filmini, non si sa mai).
Io contesto allora quanto scritto dall’avvocato Venerando Bellomo da Grotte che per storica rivalità bonaria con Racalmuto dovrebbe misurare ancor più le parole e non toccare certi argomenti.
E non voglio fare sterile polemica con un amico, perché questo sembrerà al lettore al punto in cui è della lettura.
Io rivendico la mia amicizia con Leonardo Sciascia nato prima di mio papà e di mia mamma, ma dopo mio nonno; rivendico la bellezza delle nostre lunghe passeggiate solitarie e riservatissime e oniriche alla Noce dove nessuno avrebbe potuto vederci per poi vantarsi pure della visione e dire “Li ho visti!”; rivendico tutti i miei insegnamenti al maestro: a Leonardo ho insegnato io a fumare, prima di nascosto, poi pubblicamente, poi ovunque, a tenere la sigaretta in un certo modo, a guardare la gente con la sigaretta sempre in mano in un certo modo, a scandire le parole prendendo il ritmo dalle boccate di sigarette e poi dalle stecche. E poi le sue opere, i suoi straordinari capolavori di respiro mondiale, pensate siano solo farina del suo sacco? Sono stato anche io a suggerirgli temi, contenuti, personaggi, di volta in volta, in paese, nei nostri incontri immaginari. Parlando e riparlando, tra una sigaretta e l’altra, Sciascia assorbiva da tutto e da tutti, faceva tesoro delle conversazioni, di tutto ciò che ascoltava e vedeva e leggeva nei giornali e ascoltava in tv, si riempiva degli umori e quando era proprio pieno, quando aveva toccato il cuore della verità, si chiudeva nella sua casa di Contrada Noce e dalla sua testa – più grande di quella che si vede nelle foto – buttava giù tutto, in storie che solo lui poteva raccontare, storie universali ed eterne che anche oggi resistono bene al tempo e alle nuove storie.
In questo era insuperabile.
Mi manca. Manca a tanti. E per l’anniversario della sua nascita lo voglio ricordare così, sobriamente, con questo scritto personale, chiuso in una busta, che nessuno leggerà, non facendo alcun cenno alla nostra lunghissima amicizia purtroppo non fotografata per eccesso di riserbo, non facendo cenno a quanto gli ho dato, a quello che ho rappresentato per lui, ai libri che ci sono rimasti da scrivere… e lo faccio sottolineo sobriamente per non far pensare a nessuno che lo faccio solo per vantare amicizie così importanti.
Concludo ribadendo il concetto: Venerando Bellomo, dunque, ha torto quando dice che in questi giorni, oltre alla realtà, ci saranno tentativi di finzione e di mitomania anche sottili, anche impercettibili, tanto irriconoscibili da sembrare veri e da prenderci in giro. E la verità di questi tempi è come la luna nel pozzo col dito che fa sempre la sua parte: tu ti concentri sul dito e quando ti sconcentri perché una zanzara ti ha rosicato il polpastrello non vedi più né la luna né il pozzo, ti rimane il dito e le urla di un lupo senza luna.
Un’ultimissima considerazione, prometto. A leggere questa mia breve riflessione, il maestro di Regalpetra e maestro dell’arte dell’ironia, mi avrebbe rimproverato. Se fosse ancora qui tra noi, mi avrebbe detto: “Non sei stato sufficientemente ironico da far capire a chi prende tutto sul serio, a chi crede alla verità del dito, a chi si attacca a quella prima verità che gli confezionano sotto gli occhi senza attivare il cervello e coltivare il dubbio, che stavi semplicemente ironizzando. Alla fine hai dato ragione al tuo amico Venerando, uomo di grande acume e di virtù sopraffine, che oltre a essere apprezzato avvocato, fine intellettuale, collaboratore di Malgrado tutto, dal 4 gennaio 2020 è anche ufficialmente conduttore di dirette su Facebook tutte da seguire perché parla di cultura e senza la cultura rimarremmo tutti con il dito pandemico in mano”.
Raimondo Moncada
P.S. Se non si fosse ancora capito, e al fine di fugare ogni residuo dubbio e stabilire l’esatta e inconfutabile realtà storica, si specifica che trattasi di testo ironico e che il Leonardo Sciascia ritratto nella foto accanto a Raimondo Moncada è solo un monumento in bronzo e non lo scrittore racalmutese in sembianza reale.
L’autore di questa riflessione non ha mai conosciuto fisicamente l’autore del Giorno della civetta, lo ha solo conosciuto e amato attraverso le sue immortali opere. Moncada ha solo cercato, indegnamente, di usare l’ironia per omaggiare il Grande Maestro nel centenario della sua nascita prendendo spunto dalla provocatoria riflessione dello stimato amico Venerando Bellomo che perdonerà Moncada se ha usato le sue parole e ha osato sviluppare il suo concetto.
Ma si è capito alla fine quello che si intendeva originariamente dire? E Venerando Bellomo conserverà per sì e per no le foto scattate assieme all’amico Raimondo che potrà utilizzare quando per fama il Moncada supererà Sciascia, Pirandello, Shakespeare ed altri? I lettori custodiranno questo post a futura memoria scritto solo per puro babbìo facendo seguito alla celeberrima diretta natalizia di Malgrado Tutto dall’esemplare titolo “Babbiannu babbiannu”?
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