Una lingua non europea per un festival europeo


L’Eurovision in una lingua non in euro, non europea. Perché? Me lo chiedo più volte, facendomi del male, vedendo lo spettacolo su Rai Uno, con immagini provenienti dall’Italia, da Torino e non da Londra o da paesi colonia dell’Inghilterra. 

L’Eurovision è tutto Made in Italy, tutto Made in Europe, ma con una conduzione non italiana, non europea. Si presenta, udite udite se ci capite, nella lingua di una nazione che ha deciso qualche anno fa di brexarsi, di abbandonare il vecchio continente (“Non vogliamo più appartenere all’Europa, noi non siamo Europa”). 

Perché? Mi ripeto, rifacendomi del male. Perché questa scelta? 

Abbiamo tre presentatori sul palco che sono italiani (due di nascita e uno di adozione) e tutti presentano non esprimendosi nel loro italiano o in una delle tante e bellissime lingue europee come il mio sicilian (siciliano). 

Perché? Mi chiedo, insistendo a farmi del male. Perché Laura Pausini, Alessandro Cattelan e Mika, dall’Italia, da Torino, dal Mediterraneo, dal nord europeo della mia natia patria, non parlano in italiano e poi ogni nazione europea se la traduce nel proprio idioma come vuole, con propri commentatori madrelingua? 

Domande su domande a cui aggiungo un’altra domanda: 

Perché i tre presentatori italiani parlano tutti in inglese (per Mika è una passeggiata!) costringendo la tv di Stato italiana ad aggiungere altri tre presentatori fuori campo – Cristiano Malgioglio, Carolina Di Domenico e Gabriele Corsi – per tradurre i tre presentatori di palco così come stanno facendo tante altre nazioni con i loro Malgiogli? 

È per me triste dare la risposta, dire la verità. 


Ha vinto l’Inghilterra. Ha vinto la Brexit, ha vinto chi ha scelto di lasciarci per sempre. Da domani non parlerò più il mio italiano e neanche la mia matre lingua siciliana. Meglio esprimersi in inglese, eletta ufficialmente come lingua ufficiale dell’Europa Unita senza l’Inghilterra, la patria della lingua del festival della canzone europea e del logo che marchia lo schermo televisivo di Rai Uno che mi rimanda le immagini provenienti dall’Italia, da Torino, dal Mediterraneo: “Eurovision, song contest Turin 2022”. 


Farò, insomma, come i cantanti in gara che cantano in inglese e non nella lingua della loro madre patria (anche i ragazzi del Volo, come grandi ospiti, hanno cantato in inglese la loro canzone italiana con qualche italico sprazzo). Ho consigliato una mia mia amica italiana insegnante di Italiano di parlare in classe ai suoi alunni in inglese. 

“Un sacciu mancu na parola. Nun ci capisciu nenti”, mi ha risposto in italiano con traduzione simultanea nella mia lingua. 

“E che importa?” ho risposto io in siciliano con traduzione in italiano. “Neanche io riesco a capire l’edizione italiana dell’Eurovision anche perché la lingua dei commentatori italiani fuori campo si accavalla alla lingua dei presentatori in inglese del palco. Già da oggi spiega la nostra bella lingua italiana in inglese”. 

“De pen is on de tebbol”.

“Ci siamo, bravissima!”


Il mio tentativo di imporre universalmente il siciliano purtroppo è fallito. Avrei dovuto, prima degli inglesi, imporre la Sicilexit. La storia sarebbe cambiata a favore della mia cara isola e della sua lingua frutto della magica combinazione delle lingue delle più grandi civiltà europee. 


“Porca vacca!” direbbe in inglese Laura Pausini. 


Raimondo Moncada 

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