Quell’abbraccio alla madre


Cosa mi rimane di un incontro: l’abbraccio di una bimba alla mamma. L’immagine pura della tenerezza. Lei dorme sognando chissà che cosa e con la mamma parliamo di me, perché mi chiede come mi chiedono in tanti e parliamo anche del papà della bimba che non c’è più. 

Aveva la mia stessa età o quasi.    E aveva il mio stesso alieno dentro il corpo, scoperto purtroppo troppo tardi. Ha vissuto affrontando il percorso accidentato non facendosi distruggere la testa, continuando ad essere sempre un marito, sempre un padre, sempre un professionista, sforzandosi di non farsi rubare la vita, la normalità di ogni istante, in famiglia, al lavoro, con la sua esistenza di sempre, così provata da una malattia erosiva, aggressiva, devastante per il corpo e per la psiche. 

Se c’era da ridere rideva, se c’era da arrabbiarsi si arrabbiava, se c’era da piangere piangeva. 

Non è facile. Ogni giorno vivi in bilico, su un filo sospeso, sottile, e basta un niente, un pensiero per farti perdere l’equilibrio e farti precipitare. 

Ogni giorno è un nuovo giorno, si vive la giornata, si scherza, si ride, ci si ferma a parlare con le persone che vogliono sapere di te e si aprono pure raccontandosi della loro vita, dopo un affettuoso abbraccio e la gratitudine per averti ritrovato e averti ritrovato in buone condizioni in un percorso ancora in corso. 

È una continua altalena di emozioni, sempre piene, intense, vere che ti muovono il cuore e lo senti perché ti senti stringere il petto.

Raimondo Moncada

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