Covid, fino alla fine

Covid? Io non cambierei nulla, fino alla fine, per vedere come va, per avere la prova che tutto quello che ho fatto, i vaccini ad esempio, fino alla terza dose, in un corpo provato e inoculato, sia stato sbagliato, contro natura, contro l’umanità, controproducenti per la mia salute, una rovina per il mio benessere futuro, la certezza della mia fine a orologeria.

Facciamola la prova, tutti. Non c’è migliore occasione per fugare ogni dubbio, per avere la certezza.

Non cediamo alla tentazione di riprendere misure drastiche, non cediamo alla paura, alla minaccia dei nuovi ceppi, delle nuove varianti, della Nuova Cina che ci porta i virus di nuovo a Natale e per via aerea, con più velocità rispetto ai piedi di Marco Polo.

E intanto ricordo a me stesso quello che ho fatto e mi chiedo: è stato tutto inutile? È stato da stupidi farlo di fronte a chi non ha creduto fin dalle prime battute al virus killer della vita sul pianeta Terra? Come alla fine ho creduto io? Come hanno creduto altri che si sono imbacuccati? Che si sono rinchiusi a casa come dei topi in gabbia?

(Io per la verità sono andato sempre regolarmente a lavorare, con all’inizio in volto la mascherina anti polvere della ferramenta).

Sfidando il mondo dei contrari, degli scettici, mi sono fatto inoculare (INOCULARE!) la prima dose sperimentale del vaccino, una dose da eroi con Astrazeneca. È arrivata a seguire la seconda dose, il cosiddetto richiamo, che i sono fatto inoculare (INOCULARE) ancora più da eroi perché mi hanno detto e ripetuto che era fondamentale. E poi ho fatto, la terza dose supereroe, esattamente un anno fa (il 30 dicembre 2021, oggi è l’anniversario), in piena chemioterapia, all’ospedale Maggiore di Bologna, dopo preliminari esami del sangue per vedere se il mio corpo, in una condizione di estrema fragilità, avrebbe retto la terza inoculazione (INOCULAZIONE). Dovevo scegliere tra la protezione contro le conseguenze da contagio Covid e le conseguenze sul mio corpo del vaccino. Ho scelto la protezione da Covid, trascorrendo la notte a cavallo tra il 31 dicembre e l’1 gennaio a letto, a casa, a Bologna, con la febbre, mentre il mondo brindava con i calici alzati in cielo l’ingresso del 2022. Il mio sistema immunitario reagiva così all’inoculazione (INOCULAZIONE) del signor Booster.

Poi è arrivata la quarta dose e con la quarta, prima della quinta, ma ancora senza la marcia indietro, è precipitata improvvisamente l’attenzione.

Quarta dose?

E perché?

Ma siete impazziti?

Ora non esageriamo!

Ci basta quello che abbiamo fatto.

La situazione,

In effetti, è andata via via migliorando nei dati, nelle analisi e nelle dichiarazioni ufficiali. Almeno così è sembrato. È finito l’allarme e l’emergenza, tutto si è aperto, le mascherine sono rimaste a casa o in tasca, e si è consolidata una posizione chiara quasi universalmente accettata: col virus e con tutte le sue varianti e invarianti dobbiamo convivere, e ai vaccini di massa dobbiamo dire grazie (prego!) perché siamo riusciti a creare una protezione collettiva, generale, per tutti, una sorta di scudo spaziale.  

Bene! Ma adesso leggo e sento un intensificarsi di allarmi, di nuovo, a Natale, a fine anno. Un susseguirsi di notizie che terrorizzano, che ci riportano gli stati d’animo indietro di qualche anno.

Ma la vulemu finiri?

Sono in confusione e per questo straparlo. Lo ammetto. Rimetto la mascherina? Corro in ospedale per la quarta dose di vaccino rischiando di trascorrere una nuova notte di capodanno a letto? Evito i cinesi? Chiedo preventivamente alle persone che mi incontrano il certificato del tampone fresco di giornata? Pretendo il green pass? Mi faccio mostrare quel che rimane di Immuni prima che scompaia a mezzanotte del 31…? Che debbo fare? Posso o non posso abbracciare le persone che si avvicinano a me per abbracciarmi? Che è quello che in questo momento conta di più per me. Però, a parte gli scherzi, se dovesse di nuovo esserci un’emergenza pandemica, sarò il primo ad accettare ogni misura, anche forte, come ho già fatto pure durante una chemioterapia, una radioterapia, un intervento chirurgico e tutti gli esami e le visite a seguire in ospedali che sembravano dei fronti di guerra e dove medici e infermieri continuavano, coraggiosamente a operare al servizio dei malati mettendo a repentaglio la loro vita. Senza la loro presenza, senza le loro cure, saremmo morti.

E, intanto, ieri un amico nell’uscire dal proprio negozio e venirmi a salutare si è messo la mascherina in volto. Cosa che non gli ho visto fare nei giorni scorsi.

“Non posso rischiare”.

Mi sono stancato.

Raimondo Moncada

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