– Spinga! Spinga!
La prima a farmi gli auguri è lei, mia mamma. Mi chiama di buon mattino al cellulare.
– Buon compleanno, figlio mio.
Approfitto della telefonata per sottoporla a interrogatorio, per ricavare nuovi dettagli da aggiungere alla mia autobiografia. Sono i dettagli che fanno una storia.
Tanto per cominciare chiedo a mia mamma di ricordarmi l’ora della nascita. Sono trascorsi quarantasei anni. Non posso ricordare: troppo piccolo. Non avevo orologio ed ero impegnato a farmi largo per trovare una via d’uscita. Non è stato facile.
– Sei nato alle cinque meno cinque.
– Vuoi dire alle 4 e 55?
– Alle cinque meno cinque. Ho sempre detto così e così continuerò a dirlo.
Mi concepisce con la determinante collaborazione di mio padre Gildo, Gildo Moncada, che oggi mi formula i suoi personali auguri da lassù. Il concepimento lo fanno assieme, mia mamma Sara e mio papà Gildo. Facendo un po’ i conti, la scintilla scocca a inizio estate 1966, nel caldo mese di giugno. Per la gravidanza fa tutto la mamma, allora diciannovenne. Casalinga, sono il suo travaglio per nove mesi.
– Cresci giorno dopo giorno dentro di me. Ti comporti bene. Non ti muovi niente.
Il 15 marzo 1967 arriva il tempo.
– Non vuoi saperne di uscire. Ma devi.
Non sono in posizione, non sono attestato. Sono per i fatti miei, contro natura, di traverso. L’ostetrica, la dottoressa De Caro, pensa di portarmi in ospedale. È trascorso troppo tempo. Rischio la vita.
L’assiste mio padre.
Quella notte non si dorme. Non si può dormire. L’unico a dormire sono io. Tranquillo. Fuori è buio. In strada non c’è anima viva. C’è silenzio, rotto dalle voci provenienti dall’appartamento al primo piano di Via Verdi, quello col balcone che si affaccia sopra al profumato panificio di Manzoni. Quando le primissime luci del giorno spaccano l’oscurità della notte, mi metto in posizione. Mi sistemo sulla rampa di lancio con i miei comodi. L’ostetrica mi capisce. È la prima a capirmi. Mia mamma non ne può più.
– Forza che ci siamo. Spinga! Spinga!
Mio padre suda. Anche lui è tutto un travaglio. È la sua seconda volta da assistente ostetrico. Due anni prima partecipa al parto di mia sorella Rosina, il primo frutto del duo Gildo-Sara.
– Spinga! Spinga!
Il sole si prepara a esplodere. La città sta per svegliarsi dal torpore notturno.
– Comincio a vederlo… Eccolo!
Vedo la luce alle prime luci del 15 marzo 1967. Peso 3 chili e 850 grammi. Il mio primo vagito è una sinfonia.
– Nasci alle cinque meno cinque.
Per l’ostetrica non sono un belvedere. Nasco nero, tutto nero, non perché arrabbiato con l’ostetrica, ma per le complicazioni del parto.
– Col passare del tempo ti rassereni e acquisti il tuo colore naturale. Più passano i giorni e più ti fai bello.
Raimondo mi chiamano. Raimondo, come mio nonno Raimondo, il papà di mio papà.
Raimondo Moncada
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