‘Ncarcari chiova, dolorose figurazioni sicule

Detti e riderti siciliani, frutto della infinita saggezza popolare. Quando sentiamo dire ‘ncarcari chiova, dobbiamo tradurre la frase non letteralmente altrimenti saremmo in presenza di un reato punito del codice penale con il carcere chiodato. È la metafora che dobbiamo cogliere, ovvero la figura retorica, l’immagine dolorosa che una simile affermazione vuole significare. Partiamo intanto dalla traduzione letterale, passando dal siculo all’italiano. Il detto ‘ncarcari chiova, nella lingua messa a punto dall’infernale Dante, significa letteralmente “piantare chiodi con forza” mentre figurativamente “rincarare la dose”.  
Ora, i chiodi si possono piantare con il martello (apposito utensile) oppure con una barbara e grezza pietra. Questo per l’uso materiale dei chiodi che si conficcano nei muri per appendere dei quadri, delle padelle, dei souvenir. O si conficcano nei legni per unirne i pezzi e farne carpenteria per costruire fondazioni, pilastri, travi che di legno sono molto più resistenti nel tempo del cemento armato. 
Nell’uso figurativo del termine, i chiodi si possono piantare su una persona e non per crocifiggerla, ma per farla soffrire retoricamente di una sofferenza più acuta rispetto alla sofferenza carnale. Se, ad esempio, un pilota di Formula Uno è disperato per avere bucato uno di seguito all’altro, accidentalmente, tre pneumatici della propria autovettura e il pubblico, così tanto per scherzare, scende dagli spalti, e gli buca anche la quarta gomma deliberatamente manifestando il proprio dispiacere per quanto di sfortunato accaduto: ecco, questo è uno dei casi annoverabili tra quelli per i quali si può affermare: ‘ncarcari chiova, mettersi a piantare i chiodi a una persona, ma anche a un gruppo di persone, a una famiglia, a una comunità, a una intera nazione. 
I chiodi, quando si vuole, si trovano sempre. Pure le moderne bombe intelligenti, pulite, supertecnologiche, selettive, a ricerca automatica del bersaglio, sono imbottite di antichi chiodi per fare più male possibile.  


Raimondo Moncada

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