La follia del silenzio


Mi prendono per folle. Per una passeggiata, in silenzio.

“Ti ho visto, ieri sera. Ero in macchina. Ti ho salutato, ma eri troppo preso. Che facevi tutto solo?”.   
“Ho visto passarmi accanto una macchina, come tante altre. Dentro ho poi riconosciuto un volto che ti poteva somigliare. Scusami se non ti ho salutato. Ma la mia mente ha elaborato troppo tardi. Ero troppo immerso, troppo distratto dal silenzio della notte. Scusami davvero”.
La normalità agli occhi degli altri si trasforma in anormalità. È anormale vedere un uomo solo, a tarda sera, passeggiare lungo una scogliera, a pochi centimetri dal mare, magari non rendendosi conto di parlare di tanto in tanto per dare sonorità ai pensieri.  
Chi ti vede per prima cosa pensa al male, a uno squilibrio, a cattive intenzioni. Qualcuno potrebbe anche pensare a un bizzarro passeggiatore o a uno che ha un brutto mal di stomaco e cerca, col movimento fisico, di aiutare la digestione. È molto difficile prendere in considerazione e l’ipotesi di avere dinnanzi un cercatore di silenzi, di solitudini, di pace, che abbia soltanto voglia di stare lontano dai rumori, lontano dai disturbi, lontano dai meccanismi delle routine quotidiane. È davvero molto difficile, me ne rendo conto, pensare a una persona che abbia soltanto desiderio di stare per alcuni attimi solo con la natura, solo col cielo stellato, solo col suono del mare, solo con se stesso, solo con il mistero, solo a cercare profondità che in altri contesti non cogli. Attimi che si possono anche cogliere, e spesse volte meglio, in compagnia di chi ami e di chi ti ama.   
L’uomo è un animale sociale! Così hanno decretato. L’uomo ha bisogno di stare con gli altri, è nella sua natura. Ma di tanto in tanto questo animale sociale ha bisogno qualche volta di stare con se stesso: per stare bene con se stesso e per stare bene con gli altri. 
Anche questo è stato detto e pure scritto. 
Le estremizzazioni dall’una e dall’altra parte non fanno bene. Ci vuole la socialità, ci vuole la sonorità, ci vuole staccare la spina. 
 
Ma se ti incontrano mentre sei solo per strada, ti prendono per un uomo che ha qualche problema serio, specialmente se ti vedono in un’area non urbana e deserta e a una certa ora quando, invece, dovresti essere a casa con tua moglie, i tuoi figli, a guardare la tv e a smanettare col cellulare disteso sul letto.  
Non tutti, per la verità, vedono i bulloni fuori posto. Perché poi ti capita di raccontare degli sguardi allatmati e di ricevere confidenze del genere:
“Ti capisco. Anche io lo faccio. Ma vado in montagna, in luoghi impervi, quasi irraggiungibili. Da solo. La scorsa domenica sono andato a raccogliere asparagi. Io e la natura. Io e l’aria. Io e il silenzio. Sono ritornato a casa un’altra persona, rigenerato. Dovrebbe essere la normalità, ma ci facciamo frenare dalle abitudini e dai condizionamenti”. 
Prima di uscire di casa ti capita di azionare il freno a mano. C’è il solito pensiero che nasce e che ti dice:
“Se ti dovessero vedere le persone che ti conoscono (ma anche quelle che non sanno chi sei) che idea si faranno di te? Rimani a casa che è meglio.”
Se ne avvertiamo la necessità, allontaniamoci dal consueto e avviciniamoci al desueto. Lasciamo che gli altri ci prendano per folli. Se follia è stare di tanto in tanto con se stessi e di tanto in tanto in silenzio e di tanto in tanto in luoghi deserti: ben venga la follia! 
Certo, se nel buio momento di solitudine, di ricerca di silenzio, mi dovessi trovare sopra uno scoglio solitario, con in mano uno smartphone guasto e alle orecchie delle cuffiette non funzionanti, tutto diventerebbe normale agli occhi di chi ti osserva anche se dovessi parlare al vento. 

Il silenzio, comunque, non è una malattia. E, sempre comunque, non sono normale. 

Raimondo Moncada

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