15 marzo 2020: il mio cinquantatreesimo compleanno lo festeggio così, chiuso a casa, con questa foto datata 8 settembre 1947, scattata nello studio “Foto Santangelo” di Montichiari”, comune in provincia di Brescia. C’è parte della mia famiglia, con i miei nonni Raimondo e Rosina in posa forzata assieme ad alcuni dei loro figli: Alfonsina, Maria e Gildo, mio padre (è mutilato, ma non si vede). È una foto scattata due anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, prima di scendere in Sicilia, ad Agrigento, la loro, la mia città.
Si trovavano in nord Italia perché mio nonno, sessantenne, aveva cercato di portare in salvo la famiglia dalla guerra, prima a Perugia e poi a Calcinato. Mio padre a sedici anni lasciò i genitori e andò partigiano con la brigata Leoni, rimanendo in Umbria per poi essere gravemente ferito in Toscana.
La foto immortala la riunione della famiglia dopo la sciagura della guerra, la sofferenza negli ospedali, e un nuovo inizio tra tante ferite di cui ho sempre sentito il dolore che ho provato a mitigare scrivendo il libro Il Partigiano bambino.
Auguri alla loro, alla mia, e alla nostra Italia e grazie a chi da settimane combatte una durissima battaglia questa volta contro un nemico invisibile.
Ce la faremo ancora e ci ricostruiremo come hanno fatto i nostri genitori, loro ripartendo dalle macerie materiali. È questo l’auspicio in un momento difficile, strano, incomprensibile, imprevisto, imprevedibile, assurdo, distruttivo. Intanto festeggio riunendomi con la mia famiglia, a casa, carcerato, collegandomi col cuore con altri pezzi di famiglia sparsi per l’Italia, fuori Italia e fuori dal mondo che da lassù mi osservano rivivendo la loro drammatica storia.
Festeggio senza torta perché le pasticcerie sono chiuse e non possono certi fare eccezione per me, neanche con la raccomandazione del presidente della Repubblica Cinese che ha annunciato di avere sconfitto il carognavirus. E festeggio senza candele da spegnere perché ormai te le danno in regalo con la torta e torta, ripeto, da odorare, da affettare, da offrire, da assaggiare, non ne ho. E festeggio senza baci e abbracci che è la cosa che pesa di più. Tutti a distanza, così ci ha ridotti na cosa nica nica e tinta.
Posso solo chiudere gli occhi e sentire forte il cuore di famiglia, con quello che abbiamo vissuto e con quello che stiamo vivendo.
Buona vita a tutti.
Raimondo Moncada
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