“Ma bonu è Raimondo!”
Il riferimento non è alla mia bellezza esteriore (ricordo quando da giovane davanti a una bella ragazza si esclamava con gli occhi sgranati: “Mih, che bona!” e la stessa cosa dicevano le ragazze per i ragazzi). Quel “ma bonu è Raimondo” lo hanno riferito in questi giorni a Lucia, guardando esteriormente il mio attuale stato di salute.
Lo sguardo, in pratica, sta sostituendo la Tac.
Gli occhi che mi vedono adesso – dopo un anno di assenza – per strade, piazze e corridoi, o nelle fotografie postate sui social con didascalie ironiche, piene di vita, hanno diagnosticato che sono uscito definitivamente dal “tunnel”. Io sono felice di questa diagnosi (per mesi mi sono ritirato, non ho più scritto sui social, non ho più avuto alcun vecchio contatto sociale).
Anche questo è comunque riconquista di fette di normalità: gli altri mi rivedono com’ero prima, con lo stesso colorito, con la stessa voglia di parlare e di scherzare, con la stessa luce negli occhi. L’esteriorità in qualche modo sta aiutando e sostenendo l’interiorità, in un processo di riunione. E la psiche, la materia grigia del cervello, gioca un ruolo importantissimo anche nel colorito della pelle. Ed è quello che fin dai primissimi giorni mi hanno raccomandato i medici: “La testa è fondamentale. Lei ci deve e si deve aiutare anche con la sua testa”. Medici che rivedrò presto, così come rivedrò gli occhi elettronici della Tac che, non emotivamente, mi guarderanno dentro, attentamente, oggettivamente, per esaminare, vigilare ed eventualmente intervenire.
Nella foto, un autoscatto di un anno fa per vedermi com’ero a colori e in bianco e nero e in tutte le sfumature con i miei occhi giudicanti dopo il primo mese di chemioterapia che strada facendo ti stravolge dentro e fuori.
“Ma bonu è Raimondo”.
Raimondo Moncada
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