Non riconoscere il proprio medico


“Ciao! Come va? Come stai?”

“Un’amica mi ha detto, forse per incoraggiarmi, che sono uscito da sotto un treno”.

Ricambio, il saluto. È in compagnia di altre persone e va di fretta. Ma si ferma. Ci stringiamo la mano e le lasciano strette mentre conversiamo al volo in una via del centro storico di Sciacca. 

Mi guarda e mi sorride, sorpreso di vedermi e questa volta senza sostegno, senza accompagnamento e con la testa funzionante. 

Adesso lo riconosco e gli chiedo scusa. È il medico che mi ha per primo visitato lo scorso 8 agosto in ospedale a Sciacca, quando sono sceso da Bologna per un paio di giorni per provare a partecipare alla festa di laurea di mia figlia Luna. 

Quel giorno un’ambulanza mi prende da casa e mi porta al Giovanni Paolo II. Il medico mi conosce e cerca di entrare subito in contatto usando il canale dell’amicizia. Faccio fatica a mettere a fuoco il suo volto e a collegarlo con il cassettino della memoria dove dentro ci sono le persone incontrate più volte e non per necessità mediche. Non riesco ad accedere a quel cassetto. Lui lo capisce e cerca di stimolare i miei ricordi fornendomi tutti i dettagli possibili sulla sua persona, sulla sua attività, sui luoghi dei nostri incontri. Gli dico a un certo punto che mi ricordo, sì mi ricordo! ma lo dico per non fare brutta figura. Non sa che qualche minuto prima a casa non avevo riconosciuto neanche mia figlia.

“Ma chi è questa ragazza?” chiedo a Lucia, mia moglie (me lo ha raccontato lei, Lucia, perché di quei momenti ho solo dei flash). Una complicazione ha bloccato i reni, con la creatinina schizzata alle stelle e per poco non mi uccideva. 

“Adesso sto bene” ho detto oggi al medico del pronto soccorso. “Sono sempre dentro il percorso medico, ma gli ultimi esami, le ultime visite a Bologna sono confortanti e mi stanno consentendo di stare a Sciacca, a casa”.

“Bene! Bene!”

E gli ho chiesto scusa, quasi vergognandomi, per questa estate, per non averlo riconosciuto. E gli ho espresso gratitudine per quello che ha fatto. La prima cosa che ha fatto – mi hanno raccontato poi, perché ancora non ricordo – è stata una Tac alla testa, per vedere se il cervello mi aveva abbandonato, per verificare se c’erano lesioni, danni. 

Per fortuna niente era andato in fumo nel mio cervello. Era solo assenza di vitali sostanze come il bicarbonato di sodio, così come accerterà un medico della Nefrologia dove poi sono stato ricoverato e pompato di flebo. Medico che ringrazio di cuore come tutti i medici che mi stanno dedicando il loro sapere, la loro competenza, la loro scienza, la loro umanità, perdonandomi pure per le mie mancanze che non sono volute ma causate da fattori estranei alla mia persona. 


*Nella foto sono seduto su una panchina di Piazza Angelo Scandaliato a prendere la quotidiana medicina di sole e di mare e a scrivere dell’emozione dell’incontro di oggi, a futura memoria. Per non dimenticare più e per ringraziare la vita che vivo pure scrivendola. 

Raimondo Moncada 


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