Confessioni di un tifoso in bianco e nero

Tifoso della grande Juventus

Sono stato un tifoso, lo ammetto. Un buon tifoso, un tifoso appassionato e fedele. Poi non lo sono stato più quando mi sono accorto che il mio tifo era a senso unico: tifavo solo io. Non avveniva il contrario. Io tifavo per la mia squadra del cuore, ma la mia squadra del cuore non faceva altrettanto. La mia squadra del cuore neanche un giorno ha tifato per me. Certi giorni non mangiavo neanche. Non mangiavo perché dovevo stare incollato alla tv per non perdermi la partita di Coppa dei Campioni. Tifavo fino allo sfinimento delle corde vocali come facevano altri, come se il mio tifo davanti alla scatoletta televisiva contribuisse a incitare i giocatori e a farli giocare meglio.

Certe notti neanche dormivo quando la mia squadra del cuore perdeva. Che dispiacere. Forse non mi ero sgolato abbastanza. Una notte insonne e una settimana rovinata. L’indomani mattina mi arrampicavo sugli specchi per giustificare la sconfitta della mia squadra del cuore. Poi per alleggerire la tensione, mi mettevo a elencare i trofei conquistati in passato e a mettere in cattiva luce tutte le squadre avversarie. Passavo intere serate a vedere i gol, i replay dei gol, le discussioni sui gol, le opinioni sui gol. Passavo intere serate a vedere moviole, movioline e movioloni su tutti i canali tv per sapere se c’era o non c’era il rigore, per sapere se la mutilazione dell’avversario rimasto senza piede per un colpo di calce era intenzionale o involontario.

Un giorno ho visto cadere sul campo in soffice erbetta il mio campione falciato da un gran bastardo d’area. Gridava come gridavo io quando un avversario mi faceva lo sgambetto ai tempi quando giocavo con gli amici per strada sul duro asfalto. Ho provato compassione per lui: non potrà giocare per un mese, mi ripetevo. Come farà a stare fermo per tutto questo tempo? Per fortuna è pagato bene per giocare a pallone e ha l’assicurazione e un’equipe medica di centodue professionisti (con supporto psicologico e motivatore) che lo segue minuto per minuto, monitorando la guarigione di ogni singolo legamento. Ho pianto. Poi ho pensato che la stessa cosa era accaduta a me, ma in modo più grave con la rottura di entrambe le caviglie e mi sono fermato per sempre, senza ingaggio, senza assicurazione, senza monitoraggio e senza motivatore.

Oggi vedo tifosi che si prendono a bastonate per difendere la propria squadra del cuore. Ci sono tifosi che muoiono pure per la propria squadra del cuore. Ci sono tifosi che tifano fino a stancarsi per i calciatori della propria squadra del cuore per poi prendere a sassate il loro pullman l’anno successivo perché hanno cambiato da interista a juventino da juventino a milanista da milanista di nuovo all’Inter per poi concludere la carriera da calciatore nella Juve e diventare dirigente del Milan prima, dell’Inter poi e della Juve.

Io non tifo più da decenni secondo i canoni universali, anche se la mia squadra del cuore è rimasta sempre in fondo al mio cuore. Alcune volte sto pure male. Si è depositato dentro di me un residuo di tifo, mi ha spiegato il medico di famiglia. E purtroppo la medicina attuale non può fare nulla. Il bianconero mi resterà appiccicato per tutta la vita.

Raimondo Moncada

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Proudly powered by WordPress | Theme: Baskerville 2 by Anders Noren.

Up ↑