Dall’accordo greco al siciliano accorda a to figghiu ca chiangi!

Accordo! Accordo! Ho le orecchie piene di questa parola, di questo suono. Se ne parla da settimane. Riusciranno ad accordarsi? 
Ci hanno fatto pure un referendum in Grecia. Un popolo intero, disperato, col cappio al collo, è stato chiamato alle urne per dichiarare la propria avversione o il proprio favore all’accordo proposto dall’Europa, ritenuto inaccettabile. 

Un voto popolare, a larghissima maggioranza, di cui tener conto. Così è stato presentato. Ma sarà così? 
Per me quel suono, quella parola, ha sempre avuto un significato preciso, più legato alla disperazione e al pianto. Lo lego alla mia infanzia. E mi ricorda quando piangevo disperato (‘ngusciatu) perché mi mancava qualcosa o, più semplicemente, per ottenere qualcosa. Piangevo così tanto che le mie lacrime allargavano il cuore dei miei genitori. Piangevo così sonoramente che le mie urla facevano tremare anche le pareti dei vicini pronti a sporgere denunzia per disturbo della quiete condominiale. 

Così a turno, o mia madre, o mio padre, armati di santa pazienza, si dicevano nella nostra cara madre lingua: 
“Susiti e cerca d’accurdari a to figghiu ca chiangi!”

Accurdari non significava letteralmente tirare le corde di uno strumento musicale fino a intonarle. Metaforicamente, a pensarci bene, aveva un significato simile: rimuovere lo stonato per non stonare più, con le urla, la suscettibilità dei condomini.

Accordandomi i miei genitori mi rendevano felice. E mi accordavano con una caramella, con una fettina di pane e nutella, facendomi vedere Braccio di Ferro in tv. Bastava poco per accordarmi. Almeno fino a quando mi sono mantenuto sulla soglia dell’infanzia. 

Parole, solo parole, che nelle rispettive lingue hanno significati diversi, profondi, comunque vitali. Un bambino in qualche modo si può accurdari. Un popolo disperato e sull’orlo del fallimento no. 

Raimondo Moncada
www.raimondomoncada.blogspot.it

foto tratta da http://nonciclopedia.wikia.com

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