Natale di chemio

“Grazie, grazie per la tua testimonianza”.

Stavo rientrando a casa, nel tardo pomeriggio, dopo l’ennesima camminata senza meta per il centro storico di Sciacca, per regalarmi luci e profumi e melodie e sorrisi di bimbi, quando mi ferma un’amica, dirigente di un istituto scolastico della città. La vado per salutare e augurarle “Buon Natale” quando mi prende in contropiede: “Grazie! Grazie! per la tua testimonianza”. 

Non so che dire. Gli auguri mi rimangono in gola. Le stringo le mani, mi emoziono e vado via. 

Riprendo il mio cammino verso casa accompagnato dalla musica di Natale in filodiffusione. E non contengo le lacrime e non riesco a nasconderle in una via affollata. Mi viene da pensare a un anno fa, un anno fa!, a Natale, in ospedale a Bologna per nuove infusioni (così le chiamano) di chemioterapia. Un anno fa ero su un letto di ospedale, oggi sono a casa. Ho rintracciato la pagina del mio diario di quel momento. Scrivevo, scrivevo, sulle note del mio cellulare. Il mio corpo si riempiva di farmaci per fare guerra al potente nemico e io scrivevo quasi non credendo a quello che mi stava accadendo, attaccato a continue flebo salvavita. 

CARO DIARIO

Sono al terzo ciclo di chemioterapia. Mi alzo un minuto prima della sveglia, alle 6,29. Ho tre farmaci da prendere, non solo prima della chemio ma anche dopo. Mi vesto, mi lavo, mi faccio un giro su internet, mi preparo gli alimenti da portarmi per il pranzo in ospedale, mi preparo tutto con attenzione. Esco di casa con calma alle 7,15 per andare a prendere il bus numero 90 delle ore 7,31. Arrivo alla fermata e nell’attesa prendo il cellulare per leggere le notizie di oggi. Controllo tutte le tasche e non trovo gli occhiali. Cieco non potrei scrivere o leggere per trascorrere la mattinata a letto in Day hospital. Lucia, che non mi lascia un attimo, che sta con me sempre, mi dice: “Testa persa!”

Alla fermata dell’autobus faccio esercizi di respirazione mettendo in pratica un consiglio letto su un libro di James Nestor, L’arte di respirare: “La respirazione perfetta è questa: inalare per circa 5,5 secondi, poi esalare per 5,5”. 

Mi presento all’ospedale Bellaria. Entro e mi fermano all’ingresso come altri in fila davanti a me.

“Ho appuntamento alle 8 per una chemio”.

“Prego, vada”.

Mi misurano la febbre con un termometro dotato di un raggio puntato sulla mia fronte, mi fanno igienizzare le mani con un gel e mi avvio ancora una volta per il lungo corridoio esterno che collega tanti padiglioni. La mia destinazione è il Padiglione B, Oncologia, primo piano. 

Non faccio più caso a tutte le cose a cui facevo caso la prima volta. Mi presento all’infermiera che all’inizio del corridoio del padiglione prende le presenze su un registro dove ha segnati i prelievi, le visite, le chemio e smista. 

“Buongiorno!”

Anche lei mi misura la temperatura, infilandomi nell’orecchio la punta di un termometro che sembra un mini trapano. 

Mi fa accomodare in fondo al corridoio.

“Attenda che la chiamino dagli altoparlanti”

Sono le 8, sono puntualissimo. Arriva la prima infermiera e chiama i primi tre pazienti in attesa per le cure verso le 8,15. Poi tocca a me:

“RAIMONDO EMME!” 

Questa volta a seguirmi è un infermiere, Antonio, lo stesso che una volta mi ha fatto un prelievo di sangue e la prima puntura per stimolare i globuli bianchi annientati dopo ogni ciclo dalla chemio. Mi fa entrare in una stanza con due letti. Sono in compagnia di un paziente anziano che non si presenta come altri pazienti (“buongiorno, io sono…”), non dialoga. Parla solo al telefono e con altri. Non so con chi. 

Inizio con la prima infusione alle 8,37. La mattinata è lunga, dovrei finire verso le 15,30. 

Sono sul letto davanti alla finestra, illuminatissima da un bel sole e da un cielo azzurro, quando il mio corpo comincia a essere riempito con il cocktail di farmaci studiato per aggredire il nemico e ridurne dimensioni e pericolosità. 

Ricevo una piacevole visita. Entra in stanza Fabrizio, l’infermiere canterino, mio conterraneo, del piano di sopra dove sono stato ricoverato per il primo ciclo. Lui e sua moglie sono stati speciali, per umanità e professionalità. E glielo ripeto, ringraziandoli ancora una volta. 

Lo informo su quanto finora fatto, sul mio stato di salute.

Fuori nel corridoio sento colleghi infermieri e medici che si salutano e si augurano “Buon Natale”. Se lo augurano prima, non si sa mai, perché con i turni potrebbero non incontrarsi più. 

“Pace e serenità”.

“Auguri di Buon Natale e di Buon anno”.

“Speriamo sia migliore”.

Fabrizio mi dice che il 24 è di turno lui, mentre il 25 è di turno la moglie.

“Ogni Natale è sempre così”.

Soffrono i pazienti e soffre anche il personale medico e paramedico che per assicurare assistenza ai pazienti non trascorre le festività in famiglia, accumula giorni di ferie e da un po’, da troppo, è chiamato a sopperire pure alla mancanza di unità destinate all’emergenza Covid. 

Per trascorrere la mattinata, scrivo sul cellulare il mio diario. Dopo le prime volte, debbo segnalare una certa resistenza. E infatti non scrivo più come nei primi giorni. Debbo produrre uno sforzo maggiore per costringermi a continuare il diario. E lo faccio per gli eventi più importanti. Oltre a scrivere, leggo. Ho portato con me uno dei libri che ho acquistato a Bologna, “Lettore vieni a casa” di Maryanne Wolf, una delle più note neuroscienziate cognitiviste e studiosa della lettura. Lo apro, lo leggo.

Alle 12,30 il mio coinquilino mi lascia. Ha finito la sua terapia, molto più breve della mia. Io ne ho ancora per altre tre ore. Questa volta prima di uscire dalla porta si gira verso di me e mi saluta.

“Buongiorno!” mi dice.

“Buongiorno e Buon Natale” rispondo. 

Io continuo fino alle 15,10 quando entra un’infermiera per introdurmi nel Pic l’elastomero, la bomboletta da portare a tracollo per altre 48 ore contenente l’ultimo chemioterapico quello specifico per la mia patologia. 

Mi fa anche la pulizia del Picc e quando mi alzo dal letto legge sulla bomboletta il mio nome e la mia data di nascita. 

“Giovane!” mi dice.

“Sì, il male mi è venuto a trovare presto” rispondo su due piedi.

“Lei sia combattivo, mi raccomando. La terapia è forte”.

“Lo sono e vi sto, mi sto aiutando”. 

Almeno così credo. 

“Buon Natale!”

“Buon Natale a lei”.

Raimondo Moncada 

📸 *Nella foto, l’albero di Natale del Day Service del reparto di Oncologia dell’ospedale Bellaria di Bologna. Ne approfitto per dire grazie, GRAZIE!, e tanti auguri ai medici e agli infermieri che hanno avuto e continuano ad avere cura di me, con sentimento, empatia, umanità e grande professionalità. Mi sono affidato a loro per l’Oncologia e al Maggiore per la Chirurgia e mi sono sentito fin dal primo istante in buone mani. E questo mi ha aiutato tantissimo a superare tanti ostacoli che sembravano impossibili, insuperabili. 

Buon Natale a chi in questi giorni è al lavoro per garantire assistenza a chi ha bisogno e Buon Natale a chi è in questi giorni sottoposto a dosi di speranza. 

E Buon Natale a chi mi ha accolto, ospitato, coccolato, seguito, assistito, aiutato, sostenuto, amato dal mese di ottobre 2021 a oggi Natale 2022. 


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Proudly powered by WordPress | Theme: Baskerville 2 by Anders Noren.

Up ↑